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di Ciro Romano

But I’m creep, I’m weirdo, what the hell am I doing here? I don’t belong here

The Velvet Underground | Pale blue eyes

Aspetta, non iniziare a leggere.

Prenditi una birra, rilassa il collo e metti su un pezzo dei Velvet. Poi chiudi gli occhi: immagina.

È il 2001, metà maggio: stai passeggiando sul lungomare di Southampton. Sono le cinque del pomeriggio, c’è ancora il sole. I gabbiani fanno confusione, il mare luccica in superficie e l’Isola di Wight sullo sfondo è un privilegio. Ti infili in una traversa: è venerdì, la città brulica verso il pub. In Archer Road c’è un locale che prende nome dalla strada: entri, ordini una pinta al bancone. A due sgabelli da te siede un omone, ad occhio e croce uno e ottantacinque per una novantina di chili: faccia da ubriacone, denti storti, naso che sembra il becco di un uccello ed occhi pallidi, gli si chiudono. Affoga una montagna di ketchup e patatine con quella che sarà boh, la terza pinta almeno.

Il pub è un andirivieni di brutti ceffi. Disoccupati della working class, avranno passato la giornata in fila allo sportello del Collocamento. Oppure scaricatori di porto che smontano dai docks: comunque tutti hanno le braccia tatuate di uno stemma, un albero sul mare che sormonta tre lettere. Tutti, ma proprio tutti, in adorata processione dall’ubriacone seduto accanto a te, a raccomandargli qualcosa per l’indomani. A Southampton lo slang è semi incomprensibile e non ti applichi a capire di cosa si parli.

Esci, giri l’angolo, sei su Milton Road. Di fronte a te, lo stadio del calcio ti accoglie come una cattedrale: Benvenuti nella casa di Dio. Il vecchio The Dell domani ospita l’Arsenal per l’ultima partita della sua storia. Dall’anno prossimo, la squadra di casa cambia dimora: è tutt’un fremito d’intorno, l’occasione è memorabile.

Ora puoi riaprire gli occhi: ho una notizia. Hai avuto un’apparizione, e nemmeno te ne sei accorto. Hai avuto l’onore di condividere il bancone del pub col Dio dei Santi, nel suo inequivocabile habitat naturale: Matthew Le Tissieril Tessitore – il cui sforzo maggiore della giornata sarà stato sollevare la pinta dal sottobicchiere, era proprio quel panzone ossequiato da tutti. I suoi prepartita, del resto, altro non sono stati che infiniti giri di birra in mezzo a decine di Saints più o meno alcolizzati. Sedici anni a bere, solo coi Saints.

Sarebbe inutile fare le pulci ai tabellini, contarne i gol, le presenze. Nemmeno del suo ruolo sapremmo dire con esattezza. Segnava un sacco, è vero: sarà stato un attaccante, però in area ci entrava poco. Troppo stress. Una cosa è certa, giocava colla numero sette ed era in grado di inanellare otto, nove dribbling consecutivi camminando in mezzo agli avversari, al rallentatore: lui spostava la palla, gli altri andavano a vento. Il suo calcio era – che ne so – un brano di Mozart: il Flauto Magico, probabilmente. Dal nulla, da metà campo, metteva la palla all’incrocio, e lo faceva in condizioni fisiche onestamente improponibili a quei livelli per qualsiasi essere umano.

Pigro come mai dovrebbe essere un atleta, pigro come chiunque nasca a Guernsey, sputo di terra emersa in mezzo alla Manica: su quell’isola, esiliato da Napoleone III, alla vita di stenti ed ingiustizie degli invisibili, vomitati in strada della Francia della Restaurazione, rese dignità il genio di Victor Hugo: non aver letto i Miserabili è un crimine contro l’umanità.

Quanto speciale fosse Le Tissier lo capisci dagli eventi. Il primo gol per il Southampton, per dire.

Novembre ’86, plana al The Dell il ManUtd di Ron Atkinson: gara di Coppa, da quelle parti vale più del Campionato. Gli ospiti scendono dal pullman ciondolanti blasone e superbia, i Saints buttano dentro il ragazzino di Guensey, appena ingaggiato: una Epifania! Doppietta ed una serie di giocate imbarazzanti. Il punteggio finale sarà Southampton Quattro, Manchester United Uno. Mortificati, i Red Devils l’indomani cacceranno a pedate l’allenatore. La notizia non sarebbe di particolare rilievo, tuttavia il sostituto avrebbe scritto la storia immortale di Old Trafford: ladies and gentlemen, sir Alex Ferguson.

Nel 1990 si aggiudica il PFA Young Player of the Year Award, ma a lui frega poco. La stagione rimarrà piuttosto agli annali per le caterve di gol che il Southampton regala ai propri tifosi: Matthew avrebbe dovuto fare reparto coll’ex Bari Paul Rideout ma si ritrova accanto un diciottenne che, ad occhio e croce, vede la porta benino. Il giovanotto si chiama Alan Shearer ed i due faranno letteralmente impazzire l’intero Hempshire.

Nella pièce della carriera di Le Tissier avrà un ruolo speciale Jan Branfoot, il mister che prima di levarsi dalle palle mette fuori squadra lui e si disfa di Shearer per pochi spicci: roba da castrazione chimica. E pure Mark Crossley: al The Dell gioca il Nottingham Forest, Le Tissier ovviamente ha segnato ma i Saints sono sotto di un gol. Rigore. Batte lui, che in carriera non ne ha mai sbagliato uno. Crossley è il portiere gallese degli ospiti: rassegnato, chiude gli occhi e si tuffa in netto ritardo….parata!!! Il primo rigore della carriera sbagliato da Le God, sceso finalmente tra i mortali. Ah, dimenticavo, rimarrà l’ultimo. E se la sua esclusione dai Mondiali del ’98, da parte del CT dell’Inghilterra Hoddle, parve a tutti una bestemmia, il fatto che i Tre Leoni saranno eliminati dall’Argentina proprio ai calci di rigore ti darà la conferma: Eupalla gioca a dadi colle nostre anime.

Le grandi squadre della Premier League gli hanno offerto mari e monti, ha sempre declinato. Con garbo, invero. Il che ha fatto di lui un Dio per i propri tifosi, ma probabilmente è rimasto a Southampton più per pigrizia che altro: altrove avrebbe dovuto quantomeno allenarsi. Molto meglio il pub.

Se credete di aver compreso il personaggio, chiudete gli occhi di nuovo.

Siete al The Dell, Southampton – Arsenal è sul 2-2: tutti intorno a voi darebbero tre anni di vita per vincere l’ultima in quello stadio. Le Tissier è stanco, vecchio ed ubriaco: quest’anno non ha ancora segnato ma è ovvio, quasi non si regge. Però diamine, è l’ultima nel Suo tempio, la Casa di Dio, come fai a non dargli dieci minuti? Dieci, dannazione. Entra Matt Le God, ovazione. Si mette là, a venti metri dalla porta avversaria, dove ha trascorso i suoi anni migliori. Si guarda intorno: da domani tutto questo non ci sarà più, gli gira la testa. Incide poco, quasi zero. Manca poco al novantesimo: lancio lungo in area come solo in Inghilterra sanno fare. Martin Keown non sarebbe mai stato ricordato nella vita se non per quel goffo rilancio al limite.

Matthew si dimentica l’età, la pancia e le sette pinte della sera prima: fa una torsione che nemmeno a vent’anni, aggancia di sinistro e sfonda il set.

Guardatevi bene intorno, non vi capiterà di rivedere ventimila persone piangere tutte assieme, tutte per lo stesso motivo. Non stanno esultando: stanno ringraziando il Cielo d’esser nati a Southampton, dove per sedici anni ha giocato l’unico vero Dio che non avrebbero mai smesso di amare.

Ciro Romano – editorialista per “Le bombe di Vlad”

Redazione

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