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Mancuso: “La stagione del terremoto vale una promozione. Sempre grato alla Salernitana. Il portiere granata più forte…”

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Il prossimo 23 novembre ricorrerà il quarantesimo anniversario del disastroso terremoto che il 23 novembre 1980 sconvolse la Campania e la Basilicata, causando circa 3000 vittime. Un evento che colpì anche Salerno e, di riflesso, anche la Salernitana, poiché lo Stadio Vestuti si trasformò nei giorni immediatamente successivi al sisma in una tendopoli.

Ripercorriamo quei drammatici giorni (ma non disdegnando di dare un’occhiata anche al presente) con le testimonianze di alcuni componenti della rosa della Salernitana 1980/1981. Partendo da Matteo Mancuso. Salernitano, tifoso da sempre della Bersagliera, Mancuso ha disputato l’intera sua carriera (eccezion fatta per le parentesi in prestito di Trento e Ischia) in granata, aggregandosi alla Prima Squadra proprio dal 1980 e terminando la sua attività nel 1990, mettendo a referto 38 presenze tra campionato e Coppa Italia di Serie C.

Ciao Matteo. Allora, partiamo dal ricordo di quel 23 novembre 1980. In primis, da salernitano.
Ciao. Come si potrebbe mai dimenticare? Era una domenica sera e io stavo a casa a guardare in tv il secondo tempo in differita di Juventus-Inter. Nel pomeriggio ero al Vestuti a guardare il derby con la Turris, dove un gol di Zaccaro siglato nel finale salvò i granata da una clamorosa sconfitta interna. Mi ricordo una giornata di caldo fuori stagione, sembrava essere quasi Ferragosto. Poi, all’improvviso, un boato. Abitavo al quinto piano, quindi avvertii pienamente tutta la potenza di quella scossa. Scendemmo giù in strada, anche se devo dire che a Salerno ci fu molto spavento ma inizialmente non si percepì la gravità di quanto accaduto. Poi, mano a mano che arrivarono le notizie dalle zone più colpite, si ebbe consapevolezza di quanto era successo. La prima settimana, mi ricordo, dormii in macchina perché vi era paura. E ovviamente emblematico fu il Vestuti che, nel giro di poche ore, si trasformò da stadio in tendopoli“.

Invece, da calciatore della Salernitana, cosa comportò il terremoto?
Beh, innanzitutto non fu immediata la riorganizzazione degli allenamenti. Il sisma arrivò di domenica e trovò diversi calciatori in viaggio verso le proprie case, come si fa solitamente dopo la partita di campionato. Chi aveva deciso di rimanere nei dintorni di Salerno stava o a Vietri sul Mare (i calciatori sposati) oppure presso l’allora Hotel Garibaldi a Torrione, nella zona dell’ex cementificio (gli scapoli). Niente, per 7-8 giorni rimanemmo completamente fermi e fummo costretti a saltare due gare di campionato, mentre la Berretti fu ferma per qualche mese. Poi, mano a mano riprendemmo anche se trovammo un terreno di gioco del Vestuti giocoforza rovinato dalla tendopoli allestita. Purtroppo, il terremoto fu una mazzata per le nostre ambizioni“.

In che senso?
Vedi, io all’epoca giocavo ancora nella Berretti ma fui aggregato alla Prima Squadra a partire dal ritiro che facemmo ad Abbadia San Salvatore, sul Monte Amiata. L’estate fu tribolata, dal punto di vista societario. Subito dopo la finale di Coppa Italia di Serie C perse col Padova, ci fu la messa in mora dei calciatori, che lasciarono tutti la Salernitana, tranne il capitano Gegè Di Gennaro (Pantaleo il suo nome di battesimo, ndr). La squadra venne allestita da capo con numerosi prestiti. Arrivarono giovani come Black, Tolio, Di Venere, Del Favero, Di Giaimo e altri. Partimmo per il ritiro, proprio a causa dei problemi societari, in forte ritardo rispetto alla concorrenza, il 7 agosto. Tant’è vero che io, nelle gare agostane di Coppa Italia di Serie C con Potenza e Matera feci le mie prime apparizioni in Prima Squadra, seppure in panchina. Nonostante la partenza in ritardo, anche grazie all’innesto di Zaccaro a settembre, partimmo forte. Purtroppo, i giorni di stop forzato dopo il terremoto combinati a quelli persi con la partenza in ritardo del ritiro estivo, fecero la differenza in negativo. Ci tengo però a dire una cosa riferendomi a quella stagione“.

Cosa?
Spesso siamo abituati a celebrare solo le promozioni che vediamo scritte negli albi d’oro. Ebbene, per me la salvezza che la Salernitana conseguì in quel campionato partito tra mille tribolazioni societarie e con l’aggiunta di un evento tragico come il terremoto, vale quanto una promozione“.

Passiamo ad altri amarcord. Come era giocare al Vestuti con la maglia della Salernitana?
Beh, in primis debbo dire che sarò sempre grato alla Salernitana per aver realizzato il mio sogno di giocare con la mia squadra del cuore. Poi, certo, quella maglia da indossare era pesante. Purtroppo o per fortuna, il salernitano che gioca con la Salernitana deve sempre dimostrare qualcosa di più rispetto agli altri e questo causa pressione ai ragazzi e io non ho fatto certo eccezione a questa regola“.

Il tuo ricordo più bello?
Senz’ombra di dubbio, Salernitana-Catanzaro 1-0, 21 settembre 1986, 1/a giornata di campionato 1986/1987 (gol partita di Tappi, ndr). Disputai una buonissima partita, lasciando la porta immacolata. Anche se qualcuno, visto che la partita si disputò nel giorno del Santo Patrono, interpretò la mia bella prestazione come un “miracolo di San Matteo” (ride, ndr)”.

In dieci anni con la Salernitana, ne hai visti alternarsi di tuoi colleghi portieri. Chi è stato quello che ti ha più impressionato?
Vero, io di portieri ne ho conosciuti tanti, partendo da Favero e Tani nella stagione 1979/1980 fino ad arrivare a Battara nel campionato 1989/1990. Ma quello che mi ha più impressionato senz’ombra di dubbio è stato Oriano Boschin. Un portiere cresciuto alla scuola di Bologna, allenato da veri preparatori di estremi difensori come Pietro Battara, papà di Massimo, e Giuseppe Vavassori. Boschin aveva agilità, fisico, fondamentali tecnici. Peccato per quell’infortunio che subì al Vestuti contro la Reggina, quando si ruppe i legamenti del ginocchio destro e dovette stare 6 mesi fuori. Me lo ricordo benissimo poiché subentrai io al suo posto (19/5/1985, Salernitana-Reggina 0-0, ndr), subendo anche le “minacce” di Marco Fracas, ex di turno, che prometteva di segnarmi. Ovviamente, “minacce” assolutamente per scherzo, senza alcun tipo di malizia. Comunque, tornando a Boschin, resto convinto che senza quel grave infortunio avrebbe disputato la Serie A a buonissimi livelli“.

A proposito di Uomini, un tuo pensiero su Agostino Di Bartolomei.
Ti dico solo questo: superiore a tutti. Come calciatore naturalmente, dato che stiamo parlando di uno che ha vinto lo scudetto con la Roma da Capitano. Ma soprattutto come Uomo“.

Quella promozione del 1990, che tu vivesti dall’interno in quanto componente di quella rosa, ancora oggi rappresenta per distacco la più amata dai salernitani. Come te lo spieghi?
Credo che la spiegazione sia piuttosto semplice. La promozione del 1990 arrivò dopo 23 anni di digiuno. E dopo tantissime delusioni. Praticamente, in ognuno di questi 23 anni la Salernitana era tra le favorite per il salto di categoria, ma puntualmente falliva l’obiettivo. Anche nella stagione precedente a quella del terremoto, la 1979/1980, la squadra era assolutamente competitiva, potendo contare su calciatori di categoria superiore come Lele Messina, Botteghi, Zandonà. Eppure, pure in quell’occasione non ci fu nulla da fare. Le giovani generazioni hanno visto sì la Serie A e vissuto l’epopea di Delio Rossi, ma hanno avuto pure la fortuna di vincere campionati a intervalli di tempo più regolari“.

Eppure, al giorno d’oggi si vive un paradosso. Quella B tanto agognata nel 1990 per diverse frange della tifoseria granata adesso è vista come una sorta di “prigionia sportiva”. Chiaro il riferimento all’attuale situazione dei granata che hanno come co-patron Claudio Lotito, presidente della Lazio. Una situazione che per molti significa che la Salernitana non potrà mai competere per le posizioni di vertice. Tu come la vedi?
Quella che si vive a Salerno è la classica situazione del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Dipende da come si vuole interpretare il tutto. Se lo si vuole interpretare come “mezzo vuoto”, allora siamo nelle condizioni che tu hai descritto. Se invece vediamo che stiamo stabilmente in B da sei anni, che non vi sono problemi economici e che città importanti come Taranto e Messina ancora stanno annaspando tra i Dilettanti mentre noi ne siamo usciti subito, allora il bicchiere è mezzo pieno“.

Una situazione che però potrebbe causare una sorta di conflitto generazionale all’interno della tifoseria tra chi ha visto tanti anni di C e si “accontenta” della B e chi invece non riesce ad appassionarsi a qualcosa che somiglia a “un film già visto”.
Non “potrebbe causare”, il conflitto che hai descritto già esiste in città ed è ben evidente. Ripeto, ognuno interpreta come vuole il bicchiere che ti ho citato poc’anzi“.

Immaginiamo che non esista tale situazione e proviamo a parlare solo di calcio attuale. Come giudichi la Salernitana 2020/2021 agli ordini di mister Fabrizio Castori?
Purtroppo non posso darti un giudizio tecnico perché sinceramente non riesco a vedere le partite, poiché per scelta personale ho deciso di non sottoscrivere alcun abbonamento all’attuale piattaforma che detiene i diritti del campionato cadetto. Guardo solo le gare che sono visibili in chiaro, quindi quest’anno ho potuto solo assistere a Chievo-Salernitana. I granata mi sono sembrati una squadra che rispecchia pienamente il credo calcistico del suo allenatore. Ossia, tanta praticità e poco spazio allo spettacolo. Un calcio sparagnino, insomma. Speriamo possa essere redditizio, come quell’anno in cui Castori riuscì a portare il Carpi in Serie A nonostante aver conseguito il record di squadra che aveva concluso meno volte verso la porta avversaria“.

Tu sei stato uno dei protagonisti dei festeggiamenti, lo scorso anno, del Centenario della Salernitana, disputando un torneo con altri ex granata sulla spiaggia di Santa Teresa. Quando secondo te potremmo rivedere, condizioni epidemiologiche permettendo, lo stesso entusiasmo di quei giorni all’Arechi?
Eh, quel torneo di Santa Teresa. Mi dissero che sarebbe stata una cosa tranquilla, invece c’erano ancora calciatori in piena condizione. Scherzi a parte, fu una bellissima manifestazione. Rivedere l’entusiasmo allo stadio? La ricetta è una e una soltanto: costruire una squadra in grado di vincere il campionato“.

Amatino Grisi

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