Editoriale

La passione di Salerno deve battere anche l’ipocrisia

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La Salernitana ha vinto, ed allora viva la Salernitana?

No, non è così che funziona. “Evviva la Salernitana”, infatti, dovrebbe essere il grido d’amore e di battaglia da far riecheggiare sempre e comunque.
Sì, ma come? Per onorare e difendere il nome della Salernitana, non è sufficiente esultare per una vittoria.
Il campo ora dà ed ora toglie, come gli arbitri (perché, a parti invertite, si sarebbe già chiesto alla società di alzare la voce e di protestare per i rigori non assegnati), ma non è questo il punto.
Anzi, questo è l’ultimo punto perché i risultati che contano – cioè i piazzamenti a fine stagione – non sono frutto del caso, figli di un palo o di un errore del portiere, bensì di scelte, di programmazione, di investimenti.
Solo in presenza di tutto ciò, infatti, ha senso parlare di calcio, dell’episodio che segna nel bene o nel male una partita.

Prima, però, c’è un universo di considerazioni e di dinamiche che non può restare sommerso.
Non lo è più a Salerno, piazza nobile e passionale dell’italica provincia del pallone, dove la Squadra è vissuta e sentita sette giorni su sette. Almeno, così era finché non s’è inceppato qualcosa.

Nell’ingranaggio folle ed assurdo, ma proprio per questo bellissimo e perfetto, che è la mente del tifoso, infatti, c’è un bastone a dare fastidio, a far cigolare i cardini, ad impedire alle ruote di girare con il loro ritmo normale: la multiproprietà è quel bastone messo tra le ruote, quel muro invalicabile contro cui si potrebbe sbattere la testa all’infinito senza nemmeno scheggiarlo.
Eppure, la testa di molti tifosi continua a sbattere contro quel muro, in un ostinato atto di fede che, però, deve spogliarsi dell’ipocrisia. È questa che fa danni ancora peggiori del suddetto bastone: se si vuole sperare, sognare, vincere, allora è doveroso, per fede e per coscienza calcistiche, non girarsi dall’altra parte dopo aver sbattuto la testa contro quel maledetto muro e chiedersi perché non si possa andare oltre quella parete così ripida.

Non si può, almeno non in questa fase storica così confusa e delicata che vive Salerno, chiedere soltanto un acquisto, un rinforzo dell’ultimo minuto alla proprietà.
Occorre, innanzitutto, esigere spiegazioni, chiarezza sui programmi, non solo e non tanto tecnici, quanto su quelli che toccano la tasca dei padroni del vapore: Lazio o Salernitana, chi va giù dalla torre?
Ed è a questa domanda che il silenzio della proprietà pare quasi finalizzato a non dare risposta.

Quattro punti in due partite, ottenuti senza incantare sul piano del gioco e confermando certe già denunciate lacune (davvero poca la qualità in mezzo al campo, prima o poi Castori dovrà dare a Djuric la possibilità di giocare anche fronte alla porta per essere incisivo non solo su palla inattiva), sono indubbiamente un buon bottino con cui andare alla prima sosta del campionato, ma, se la dirigenza dovrà sfruttare al meglio le ultime ore di mercato per completare la rosa in tutti i settori, la proprietà dovrà prima o poi uscire dal suo silenzio e spazzare il campo da quella ipocrisia di fondo dietro cui in molti si nascondono con la stessa risolutezza con cui Lopez ha rinviato tutto ciò che rotolasse dalle sue parti nel secondo tempo del Bentegodi.

Il giorno dopo una vittoria in trasferta, per certi versi garibaldina, Salerno si sarebbe svegliata col “cuore nello zucchero”, dopo una notte trascorsa tra desideri di mercato e sogni a lunga gittata.
Che la cosa ora non si verifichi, pur con tutta la contentezza possibile che tutti si tengono stretta nel cuore, è la conferma che quel bastone sia molto fastidioso.

E’ bello esultare per un gol e per una vittoria, ma è sacrosanto poter avere il cuore libero da pesi e sgombro da ostacoli per poter sognare anche dopo il risveglio.

Buongiorno, Salerno! Senza ipocrisia.

Redazione

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