Storie

Vincenzo Chianese, amore sconfinato per noi tifosi: dal 1998 ad oggi.

Tempo di lettura: 4 minuti

Partiamo da una certezza incontrovertibile: il campo di calcio altro non è che teatro.

Fra la polvere degli anni e le tavole di mogano si celano svariate tipologie di ricordo. Ognuno di noi – ne sono più che certo – può riprodurre fedelmente il punto preciso da cui ha visto partire una conclusione vincente, ognuno di noi – ad occhi chiusi – può indicare la porzione di prato da cui è scaturita la vergogna di un autogol.

Salerno, fra le roccaforti di un calcio ormai in apnea, non fa eccezione. Se un salernitano, per chissà quale scherzo della memoria, ripensa al 6 dicembre del 1998 (91esimo giro di lancetta di un Salernitana – Bari come tanti) immagina una zolla di terra a pochi passi dal dischetto, un sinistro che si spegne fra le braccia di Mancini, una ripartenza che pareggia i conti allo scadere, alza gli occhi al cielo, stringe i denti e bestemmia. Quella bestemmia ha un nome, un cognome e un destinatario: Vincenzo Chianese.

La gestazione del colpo Chianese può definirsi l’antesignana delle telenovelas moderne. Per acquisire le prestazioni del bomber di Melito, infatti, fu necessario metter mano al portafoglio e corteggiare, a lungo, l’odiata Dea.

Termometro impazzito, l’afa rubava ore piene al sonno. Del tutto fisiologico quando una città intera, fra superstizione e folklore, attende l’esordio in massima serie. Le voci insistono, rimbalzano di ombrellone in ombrellone: l’estate del ’98, al netto di spifferi e indiscrezioni, è già rovente di suo.

Vincenzo conta 22 primavere, distribuite su un viso ingenuo e ancora imberbe. C’è un’intera carriera da percorrere, intanto un poco discreto biglietto da visita suggerisce che in tre stagioni – fra il ’95 e il ’98, sull’asse che collega Casarano a Foggia – ha collezionato 34 gol in 91 apparizioni.

Seconda decade di agosto, scese dalla controra un ragazzo affannato a far cenni che di là sulla foce del Sele: “Uagliù, c’emm pigliat a Chianese”.

Volendo dedicarci ai segreti della mera contabilità: i numeri risultarono più che idonei per ambire al grande salto. Le aspettative, visto e considerato che Di Vaio veniva da condizioni ben peggiori, anche.

Il giovane Vincenzo, allevato da rossoazzurri e satanelli, si presentò così al calcio dei grandi, indossando gli abiti della probabile sorpresa. Fra il dire e il fare – almeno per quanto riguarda le leggi del pallone – c’è di mezzo il convincere. Inserirsi nei meccanismi di Rossi non fu per nulla facile. Il ragazzo, annaspando più dell’immaginato, perse terreno nelle gerarchie: a vantaggio di Belmonte e Giampaolo, colleghi ben più rodati.

La cornice, cesura fondamentale – come dicevamo – è quella del 6 dicembre 1998. Salernitana – Bari, per il nostro antieroe, rappresenta l’ultima frontiera: terra di mezzo fra integrazione e dannazione. Chianese tutto sommato inizia bene, intorno al 12esimo pesca il corridoio per Vannucchi, il pallone a tagliare la retroguardia di Fascetti è splendido, così come l’intesa con il giovane fantasista: è il gol del vantaggio sui galletti. Il pareggio di Osmanovski al 42esimo ed il successivo sorpasso di Bolic al minuto 61 ci proiettano al primo minuto di recupero. Di Vaio imbecca Chianese per il possibile K.O. A tu per tu con la buonanima di Franco Mancini, però, Chianese decide di segnare, a chiare lettere, il proprio nome nel girone dei detestati: destinando una innocua cartolina al numero uno dei pugliesi. L’immediata ripartenza del Bari condusse al pari di Knudsen: due punti gettati al vento, cassazione per le ambizioni granata ed eterna etichetta di “ceppone” assegnata al povero numero 27 proveniente dall’hinterland napoletano.

Dalle nostre parti il centravanti vivrà tre stagioni, per niente positive, intervallate da un prestito alla Fermana (10 reti nelle Marche, anche se la ventesima piazza finale fece rima con retrocessione). Vincenzo Chianese, con l’ippocampo sul petto, scenderà in campo 35 volte, le reti? Una sola – ironia della sorte – il giorno d’Ognissanti, dal dischetto nel comodo 3-0 contro il Piacenza.  

Per l’attaccante inizia una lunga diaspora, alla ricerca di una terra promessa in cui riscoprirsi deciso a coltivare la scomoda vocazione del gol. Fra Pescara, Vicenza e Como segna appena 7 volte, l’occasione giusta si presenta all’Omobono Tenni, con la maglia del Treviso – nella stagione 2003-04 – segna 12 gol in 29 presenze. Al Teramo, l’anno successivo, sono appena 5 le realizzazioni. Chianese diventa, allora, punto di riferimento e miglior marcatore del Pavia che, nel 2004-05, si assicura la quarta posizione nel girone A di Serie C ma ciò non basta a garantirgli una riconferma in terra lombarda.

Dal 2005 al 2010, nell’arco di cinque stagioni, saranno 3 colori a rendere giustizia al ritrovato bomber di Melito: il giallo, il rosso e l’amaranto. Fra i ranghi dei giallorossi romagnoli siglerà 19 reti in 32 presenze, risultando determinante per la promozione del Ravenna in B. Un rinnovato fiuto del gol negli ultimi 16 metri, 34 reti e una meritatissima fascia da capitano segneranno la fruttuosa esperienza toscana, fra le fila dell’Arezzo. Ma il tempo, purtroppo, è condanna per cui non esiste corte d’Appello. La carriera di Vincenzo Chianese terminerà in sordina, senza lasciare traccia di sé, fra Brindisi, Verbano e Larcianese.

Noi, nonostante siano trascorse ere da quel giorno e le vie del perdono (e della prescrizione emotiva) – tutto sommato – siano ampiamente percorribili, continuiamo per la nostra strada. Ci troviamo a vivere nella simpatica condizione in cui, pronunciare il nome di Chianese, è come intrufolarsi fra i cunicoli di una piramide egizia. Si rischia di divenire spettatori di una maledizione simile a quella di Tutankhamon che, nel corso degli anni ’20, impugnò la falce mietendo decine di vittime. L’esercizio di memoria, semplicissimo e replicabile all’infinito, può essere sintetizzato nel rapidissimo scambio di battute che, da vent’anni precisi, governa il nostro umore e appare pressapoco così:

  • “Te lo ricordi a Chianese contro il Bari?”
  • “Uà, Marò.. M’è ndusscat a jurnata!”
Alfredo Mercurio

Nato nel '90. Due passioni governano i moti del cuore e, molto spesso, confluiscono l'una nell'altra: Salernitana e poesia.

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