Un soldo per i pensieri di Massimiliano Irrati.
La foto di Bruno Maffia cristallizza l’espressione pensierosa dell’arbitro fiorentino.
Dubbi? Non è dato conoscerlo.
Come le donne cantate da Fiorella, ci sono cose che gli arbitri non dicono.
E mai diranno. Una su tutte: se la sanzione in campo sia o meno figlia del momento, se sia condizionata da un ragionamento.
In pratica, se una mano –appendice terminale di un braccio lontano dal corpo– sia fallosa sempre oppure si trasformi in ininfluente corpo estraneo dopo un penalty già concesso, forse con qualche ripensamento.
Non lo sapremo mai, e neanche sapremo mai cosa Irrati, buon frequentatore della VAR in massima serie, avrebbe deciso se l’avessero portato di fronte ad un monitor che in B non si è ancora acceso.
Io però so una cosa che Irrati non sa.
Il fischio negato ieri sera ha insospettabile eco. Sancisce l’inizio di un’altra partita.
Terreno di gioco: i social. Scenderanno in campo i sostenitori della teoria dei poteri forti e quelli che annotano i tre errori stagionali dal dischetto.
Insomma, Vujadin ci ha insegnato che «rigore è quando arbitro fischia».
Potesse farlo, aggiungerebbe: «porta calcio quasi 18 metri quadri. Se tu non centri non guardare arbitro».
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