Editoriale

5 maggio ’98: una sciagura da non dimenticare

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Era un martedì, il primo giorno della settimana di allenamenti della Salernitana. La squadra di Delio Rossi si stava allenando nella Valle dell’Irno, mentre le agenzie di stampa nazionali rilanciavano la notizia diffusa da quelle francesi: “La Salernitana ha ingaggiato il difensore del Metz, Rigobert Song, capitano della nazionale del Camerun”.

Delio Rossi trasecolò quando i cronisti gli chiesero conferma, ma quel piovoso pomeriggio di maggio, in cui la mente era proiettata alla domenica successiva per la festa promozione col Venezia, stava per succedere qualcosa. Di violento e tragico.

L’aria era pesante, la pioggia aveva preso a cadere con forza e sembrava solo volesse divertirsi a complicare i piani di giornalisti ed operatori tv presenti che avrebbero dovuto “arrangiarsi” per cogliere le sensazioni dei granata alla vigilia dell’evento atteso da mezzo secolo: la serie A.

Sarebbe stata una notte di paura ed il risveglio, per quanti erano ignari di ciò che era successo durante la notte, fu terribile. L’alluvione di Sarno, Siano, Bracigliano e Quindici aveva travolto ogni cosa.

Un colpo al cuore, una ferita mai rimarginatasi come quella che segna i territori così duramente colpiti, sconvolti, segnati nel profondo da quel disastro. Acqua, fango, pietre, macerie: la natura sprigionò tutta la furia di cui, a volte, quando l’uomo la mette alla prova, è capace.

E seminò distruzione, paura, morte. Tante vite furono spezzate, anzi spazzate dalla forza dell’acqua fattasi fango. Un fiume impossibile da arginare, milioni di metri cubi di acqua e detriti, che travolsero tutto quello che trovarono sulla loro strada.

Quel 5 maggio è lontano ventitré anni, eppure resta nel cuore e nella mente di tutti quelli che lo vissero da vicino o da spettatori esterni. Tutti, però, atterriti e impotenti dinanzi ad una tale, poderosa e violenta, dimostrazione di forza della Natura. E quella tragedia cambiò tutto anche per l’evento calcistico della domenica seguente.

Il 10 maggio, per Salernitana- Venezia, l’Arechi era pieno e composto, vinto dal dolore eppure desideroso di riaffermare la forza della vita anche solo per il tramite di una partita di calcio.

Salerno fece il giro del mondo per l’esempio di compostezza e civiltà di cui fu capace. Oggi è una giornata di commemorazione e dolore, perché non basterà tutta quell’acqua assassina a cancellare il ricordo straziante di una tragedia che affonda le radici nella tracotanza dell’uomo. I prossimi giorni saranno di attesa e speranza e, ci si augura, di festa, con tutte le cautele e le precauzioni del caso.

A quelle dettate dalla più che comprensibile scaramanzia, infatti, si aggiungono anche quelle imposte dalla situazione contingente di una pandemia che tutti vogliamo lasciarci alle spalle, ma che non possiamo ignorare. Ora più che mai.

La storia è anche la capacità di un popolo di reagire agli eventi, mostrando la sua natura più profonda. Salerno non ha mai dimenticato quel 5 maggio, che sconvolse una parte consistente della sua Provincia, ed oggi come ieri ricorda quella tragedia.

Nel ciclo naturale della vita si alternano momenti che scandiscono la vita di una collettività: gioie e dolori si alternano, dissolvenze incrociate di un copione che, a differenza di quelli cinematografici, nessuno di noi conosce fino in fondo. Anzi, per niente.

Questo è il giorno del ricordo, poi verranno quelli dell’attesa e della speranza. Ventitré anni dopo, Salerno sa cosa sia il dolore ed anche per questo sa quanto sia importante tenersi strette le piccole e grandi gioie della vita. Anche quelle legate ad un pallone che finisce in rete.

Redazione

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