Editoriale

Salernitana – Verona: il braccio armato della volontà

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“Oh, siamo a casa! Abbiamo bisogno di punti!”

Un semplice frame dal tunnel, Castori coccola Lasagna e il comando arriva dagli Stati Maggiori del versante tecnico. Franck Ribéry ha parlato: se la premessa è il cannoneggiare, la parola d’ordine è non arretrare, l’estrema sintesi è il soffrire.

Respirare è quasi un lusso, ritmi serrati e capovolgimenti repentini fin dalle prime luci dell’alba, verticalità ossessiva e il fosforo, ai livelli di guardia, inizia a calare vertiginosamente a ridosso dei sedici metri.

Tutto molto più semplice – ça va sans dire – per i butei, declinando il ghirigoro bastano due passaggi, lineari e leggibili, per solcare il traguardo. Così si procede, in avanti i flûte creano ma annaspano, stesso destino per le tazzine sbeccate che popolano gli scaffali della retroguardia. Errori di posizionamento e rincorse bofonchiate a stento.

Kalinic ringrazia e rivanga i bei tempi andati, l’era degli inchini sotto la Fiesole. Sfruttando maglie larghe e marcature garibaldine si regala la doppietta.

Si danna, la Salernitana: un manipolo di formiche industriose che macina e non raccoglie. L’elogio dell’inadeguatezza torna a batter cassa.

19:19

I tratti di un’inaspettata golden hour sprizzano su quel prato messo, nottetempo, sotto sale. Non c’è tequila né limone. C’è però Cedric Gondo che, a cornice della prima frazione, guadagna un calcio di punizione e si fa trovare pronto dai dieci metri: conclusione masticata ma efficace, tanto basta per battere Montipò sotto la Sud.

Il secondo tempo è una Via Crucis al rovescio, parte forte l’Hellas e lo fa ancora con Kalinic. Il centravanti croato è in fiducia, ha ritrovato il feeling con la porta. Fortuna che c’è la mano santa del palo sinistro a frenare l’istinto omicida riesumato.

Salgono i giri del motore, i granata confermano la nuova arrembante versione intravista al cospetto della Dea. I Coulibaly in campo – distinta dixit – sono due, a volte anche quattro. Mamadou è l’oro nero della mediana, Lassana il braccio armato della linea di mezzo.

Al giro di lancetta numero sessantasei Djuric evoca lo spirito di Bogdani: rimpallo simile a quello del Barbera, la sfera tuttavia compie il tragitto inverso. Bastano appena dieci minuti, però, per far sì che un tiro sballato di Gagliolo si trasformi in dolce nettare per i tentacoli di Mamadou. Il senegalese fiocina il pallone, saluta Gunter e in caduta spegne il ghigno ai veronesi.

Tutt’altro finale, la Salernitana crede di poter compiere quell’impresa che al minuto quarantaquattro era cupo sonno di cipressi. Lotta continua e libro rosso di Mao, Mamadou travolge tutto, finanche Irrati. L’ultima occasione, tuttavia, capita sulla mattonella scaligera: il fallo di Lassana, lo sguardo preoccupato di Vid, il coccodrillo di Ranieri, la parabola di Barak.

Millesimi di secondo da impatto a impatto, dall’interno del piede allo spigolo supremo dei legni. Questo è quanto scherza col fuoco delle coronarie, questo è quanto conduce al porto del primo, sudato, punto.

La Salernitana si stacca dal fondo, assume il primo centilitro di antibiotico: ne serviranno altri trentasette, almeno. La sola volontà, comunque, non basta. Ché con la volontà puoi pure procacciarti un tozzo di pane ma per spostare le montagne serve altro. Tanto altro.

Alfredo Mercurio

Nato nel '90. Due passioni governano i moti del cuore e, molto spesso, confluiscono l'una nell'altra: Salernitana e poesia.

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