Editoriale

Un disastro annunciato, tra approssimazione tecnica e folclore manageriale. Le cinque domande per Colantuono

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Un disastro annunciato, la prima di Colantuono sulla panchina della Salernitana. Troppe assenze in organico, affiancate da confusioni assortite e destabilizzazioni mediatiche post esonero di Castori, per credere ciecamente nella possibilità di imprimere una fondamentale sterzata alla stagione, in una partita di notevole importanza.

Il pallido arcobaleno comparso nei secondi quarantacinque minuti, complice anche la sazietà e il calo di tensione palesati dagli atleti empolesi, ha solo gettato una luce sinistra sulle macerie calcistiche prodotte da un primo tempo inconsistente, arrendevole e mortificante.

Il neo tecnico granata, al netto delle pesanti defezioni registrate al suo arrivo, schierando inizialmente un undici pieno di incognite, con diversi calciatori fuori ruolo ed una fragilità complessiva di fondo a farla da padrone, ha facilitato il compito ad un Empoli sereno e consapevole di poter approfittare delle difficoltà tecniche e psicologiche attraversate dai dirimpettai. Poco più di seicento secondi per archiviare una pratica che regala tre punti di inestimabile valore alla truppa di Andreazzoli, la quale si allontana dai bassifondi della classifica e guadagna un margine significativo su Ribery e compagni.

Le giornate trascorrono inesorabilmente, gli step (Spezia ed Empoli) che avrebbero dovuto regalare ossigeno alla graduatoria, passano agli archivi sotto forma di debacle che rende ancora più ansimante e proibitiva la marcia dell’Ippocampo.

Difficile, per non dire impossibile, trovare elementi di fiducia da spendere immediatamente, perché tra poche ore sarà già tempo di incrociare le armi con un’altra diretta contendente, il Venezia reduce dalla sconfitta in casa del Sassuolo. Il tutto incastonato in un’infermeria sempre più affollata, con un calendario ( Napoli e Lazio, dopo la trasferta in terra veneta) che trasforma le ansie del momento nel timore di sprofondare all’interno di un vero e proprio calvario calcistico.

La fede e la speranza, punti di forza emotivi e sentimentali della tifoseria granata, espressi con vigore anche nella gara di ieri, aiutano a difendere la dignità adamantina della passione verace, ma sul rettangolo di gioco non saranno mai in grado di modificare un copione caratterizzato da pochezza tecnico-tattica e figlio della fallimentare pianificazione gestionale condotta dal direttore sportivo Fabiani e dal suo staff.

Ai calciatori, al netto di qualche appunto sull’approccio mentale esibito nella gara di ieri, non possono essere attribuite grosse colpe. Molti di essi sanno, intimamente, che la dimensione della massima serie è un contesto che fa enorme fatica a vederli protagonisti. Troppo esiguo il plotoncino di elementi realmente all’altezza della categoria.

L’avvento di Ribery ha impedito di staccare anzitempo la spina, soprattutto dal punto di vista psicologico e di un’auspicabile potenzialità da esprimere strada facendo. Perché le risultanze del prato verde restano impietose, ed il management, tra approssimazione, incompetenza e momenti di imbarazzante folclore, sembra essere più un acceleratore di disgrazie calcistiche che non una fucina di rimedi necessari a superare una crisi senza soluzione di continuità.

Le parole ormai servono a ben poco, alla pari di tabelle e discorsi consolatori sulla lunghezza del campionato e sulle distanze non ancora incolmabili che separano la Salernitana dalle dirette concorrenti per la salvezza. La politica dei piccoli passi, prima ancora che al risultato sportivo già compromesso, deve imboccare urgentemente le due uniche strade percorribili: la fine, vera e sostanziale, dell’era Lotito-Fabiani; la preservazione della dignità, in una stagione che rischia di inzaccherare per sempre la secolare storia del club.

Infine, analizzare la gara di ieri è impresa abbastanza complicata, in quanto caratterizzata da due assenze alternate: quella granata nel primo tempo, seguita da quella toscana nella ripresa. Una contrapposizione tattica vera e propria non c’è stata nel corso dei novanta minuti: a turno, le due squadre, dominate da autolesionistiche dinamiche mentali, hanno recitato i ruoli di protagoniste e sparring partner.

Molto più interessante porre a Colantuono qualche quesito sulle scelte iniziali di formazione, soprattutto dopo aver ascoltato dalla sua voce che esse erano obbligate. Perché, ad esempio, pur essendo a corto di difensori centrali rodati e già avvezzi alla categoria, ha scelto di schierarne tre in un sol colpo?
Per quale ragione ha deciso di impiegare Jaroszynski nella posizione di centrale di sinistra e Ranieri da esterno intermedio sulla medesima corsia, quando invertendo i ruoli dei due avrebbe forse ottenuto maggiore solidità difensiva ed anche una spinta superiore?
Quale ragionamento tecnico-tattico ha indotto il neo allenatore granata a schierare Kastanos nella posizione di centrocampista centrale, costringendo il ragazzo ad un lavoro di filtro che, essendo lui una mezzala/trequartista, non appartiene al suo dna calcistico?
Perché, in un assetto già decisamente sbilanciato, ha deciso di inserire Kechrida come quarto a destra della seconda linea, nonostante le frequenti difficoltà palesate dal tunisino nell’eseguire queste mansioni?
Infine qualcuno, prima o poi, ci spiegherà perché in questa squadra, non esattamente ricca dal punto vista tecnico, Federico Bonazzoli continua a non trovare spazio dal primo minuto?

Maurizio Iuliano

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