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Jungleland Arechi

Tempo di lettura: 2 minuti

“Oh eh oh, la Salernitana, oh eh oh, vada come vada, non la lasceremo mai”.

One two three four.

Gentilissime Autorità, avete capito male. Vedete, questo è un coro di incondizionato sostegno alla squadra. E invece voi —non è una novità— avete interpretato secondo convenienza. “A questi qui possiamo fargli di tutto” avete pensato. Altrimenti non si spiega.

O forse abbiamo capito male noi. Certamente abbiamo capito male noi. Ecco spiegato il prezzo dei Distinti, 33 € + 2 € + 1,42 € ancora. Fa male chi si lamenta. In effetti il biglietto d’ingresso a Gardaland costa meno, 21 €. Ma Gardaland ha meno attrazioni di Jungleland Arechi.

Le Arechi falls, ad esempio, sono spettacolo unico. Intendo, in quanti posti del mondo è possibile vedere l’acqua che scende più copiosa al coperto di quanta il cielo ne mandi all’aperto?

Senza dimenticare la minuziosa riproduzione di Saigon che circonda il parco. Lì, meglio che nello zoosafari di Fasano, si può sperimentare l’ebbrezza di un parcheggio sviluppato secondo l’evoluta tecnologia denominata “cdc”. E in merito posso spiegarvela “de visu”, se richiesto. E come ad EuroDisney incontri i pupazzi di Topolino e Minnie prima di entrare, a Jungleland Arechi non manca mai il personaggio tipico. Si chiama Capo di nome, Unacosaapiacere di cognome.

L’esperienza della realtà aumentata è favorita peraltro dall’illuminata pianificazione, ispirata da Pirandello. Che la tifoseria avversaria di turno sia rappresentata da uno, nessuno o centomila, per non saper leggere né scrivere si chiude tutto. Così gli automobilisti, alcuni pigri, alcuni prostrati dall’inadeguatezza dei mezzi pubblici, devono districarsi come cavie in una gabbia piccola. Vorrei ci fosse un drone a riprendere, sai che spettacolo.

In nessun altro parco divertimenti del mondo si trova la prima giostra all’esibizione dei tagliandi. Sì, quello che costa 33 € + 2 € + 1,42 € ancora. Stampato su carta, lo devi piegare e ritagliare. Provando l’ebbrezza di sagomare pure il bordo inferiore, altrimenti l’evoluto tornello non se lo piglia, ed il brivido della preghiera, ché se piove come ieri e ti cade una goccia sul codice a barre è capace che la partita non te la vedi.

Che poi dentro Jungleland mica ci stanno solo le cascate. Possiamo dire con orgoglio che un tour nella Napoli sotterranea, una visita agli scavi di Pompei, non rendono il senso di degrado del tempo offerto dai cessi —perdonate, servizi igienici proprio non si può dire— dello stadio.

Pure il customer care è curato nei dettagli. Se prendi due Peroni, ad esempio, il venditore itinerante ti gratifica con un: «Vabbuò, facciamo 8 euro». Probabilmente quindi ti ha fatto lo sconto, e la gratificazione ricevuta rimarrà scolpita dentro il cliente. Nella mente, mai sullo scontrino.

Jungleland, infine, è esperienza formativa e culturale. Ne fornisce evidenza il fatto che molti utenti, dopo la visita, si perfezionano. Dopo aver parcheggiato come animali, invadendo ogni centimetro della strada percorribile, con la complicità di Capo Unacosaapiacere, ancora più da animali lasciano il parco giochi, dopo aver atteso che Đurić si asciughi i capelli dopo aver fatto la doccia. Magari qualche disgraziato che ha parcheggiato bene deve fare un viaggio per tornare in provincia, ma che importa.

Gentilissime Autorità, vi volevo dire che siete troppo modesti. Quando avete parlato di “Arechi, gioiello per la A” dovevate fare una brochure con tutte le attrazioni del parco. E contestualmente volevo significarvi che dal lato societario il tempo delle bugie, degli ahò, dei professò è finito. Suggerirei un upgrade, e magari una presa d’atto. Tanto l’accredito nessuno lo tocca, e sedersi domani in uno stadio civile lenirà la nostalgia per questa piccola Saigon.

Giovanni Perna

Nato nel 1964, professione ortopedico. Curioso ma pigro. Ama svisceratamente Salerno e la Salernitana. Come sempre accade quando un amore è passionale, è sempre piuttosto critico nei confronti di entrambe.

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