Editoriale

La paura di perdere anteposta al coraggio di provarci. Comprensibile, ma la squadra può (e deve) fare meglio

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Scortata in Friuli da desideri di rivalsa risalenti alla terribile e allo stesso tempo magica serata del 22 maggio, la Salernitana ha condotto spesso le danze durante il match, in alcune circostanze ha pure sofferto gli spunti dell’Udinese, ma le è mancata la convinzione giusta per portare a Salerno l’intera posta in palio.

Certo, le pressioni nel calcio italiano sono tante e impongono di muovere sempre la classifica, per evitare che il morale dell’intero ambiente avverta scosse telluriche e crolli al suolo. Due sconfitte subite nelle prime due gare ufficiali hanno sicuramente contaminato, dal punto di vista mentale, la possibilità di sfruttare la ghiotta superiorità numerica maturata al termine dei primi quarantacinque minuti grazie all’inutile e vistoso calcione rifilato da Perez all’arrembante Mazzocchi.

Gli uomini di Nicola ci hanno provato, mettendoci però più fosforo che intensità. La circolazione della palla, infatti, è stata eseguita scolasticamente, consentendo ai padroni di casa di compattarsi e scalare marcature con minori affanni, nonostante l’uomo in meno sul rettangolo verde. Più forte la preoccupazione granata di cominciare a mettere fieno in cascina rispetto alla determinazione di aggredire i rivali con una proposta offensiva intrisa di estro, imprevedibilità e continuità.

Gara molto tattica e fisica, vissuta all’insegna degli strappi sporadici delle due compagini, che non sono mai riuscite a prevalere mostrando la superiorità di una strategia calcistica pianificata alla vigilia della contesa.

Sin dall’inizio del match è emersa la volontà delle contendenti di inibirsi a vicenda, con le mezzali a fronteggiare l’uscita dei difensori centrali e rendere complessa la prima costruzione dal basso.

Il trainer granata temeva la corsia mancina bianconera, ed allora ha ordinato a Candreva di prendere alto Udogie per non lasciargli metri di fascia in cui poter scavallare liberamente. Allo stesso tempo Nicola ha creato una sorta di gabbia, con Maggiore e il sacrificio in ripiegamento di Bonazzoli, per arginare il supporto di Makengo sulla medesima corsia.

La gara, pertanto, poteva solo accendersi grazie allo strappo del singolo o agli errori di lettura tattica delle due squadre. Wallace e compagni hanno impiegato molti minuti prima di alzare i giri del motore e tentare qualche sortita affidata al gioco qualitativo e senza palla di Deulofeu e Pereyra, sempre temibili quando operano tra le linee e attaccano gli spazi. In questo contesto la Salernitana ha rischiato di capitolare, scontando la prestanza a volte macchinosa di elementi come Radovanovic e Fazio e alcune incertezze nell’effettuare letture e marcature preventive (il taglio di Deulofeu non seguito da Bronn).Il palo e la freddezza di Sepe hanno impedito al talentuoso spagnolo di passare all’incasso.

La Salernitana? Insidiosa sugli sviluppi di un corner, con Bronn e Fazio che hanno sfiorato la deviazione vincente, e tre percussioni di Mazzocchi a sinistra che si sono tramutate in una rovesciata di Bonazzoli respinta con bravura dal portiere di casa, in una bordata dello stesso terzino napoletano deviata ancora in corner dall’estremo difensore bianconero e, infine, nella fuga del vivido Pasquale che è costata l’espulsione a Perez.

Quando gli ospiti sono riusciti (raramente) a interagire bene con le due punte – Botheim ha ottimi mezzi, ma deve lavorare tanto sul piano tattico e temperamentale per affrontare un calcio ostico come quello italiano – e ad effettuare cambi di gioco tesi ad attivare il rimorchio della mezzala (Vilhena) a sostegno dell’ex veneziano, la squadra di Sottil ha dovuto gestire qualche difficoltà in più.

Come detto in precedenza, nella ripresa la Salernitana ha gestito accademicamente la superiorità numerica, consentendo all’Udinese di non sfaldarsi nonostante la presenza in campo di soli nove uomini di movimento.

Il giro palla troppo masticato, lo scarico lento del pallone sulle corsie esterne, l’assenza di coraggio nell’alzare il baricentro per conquistare in fretta la sfera e portare più uomini ad attaccare l’area friulana, hanno prodotto soltanto un ottimo tiro da distanza siderale di Candreva e un avvitamento aereo di Bonazzoli. In entrambi i casi Silvestri si è fatto trovare pronto.

In fase difensiva, la Salernitana non ha vissuto grandi patemi, subendo una fisiologica sofferenza con l’ingresso in campo della fisicità di Beto e rischiando solo in una circostanza, quando Fazio non ha accorciato preventivamente su Deulofeu, che si è involato verso l’area granata prima di essere steso da Gyomber con un fallo tattico.

L’Ippocampo cancella lo zero dalla sua graduatoria e, consapevole di poter contare su un organico competitivo, aggiunge serenità e autostima agli stadi che compongono il suo processo di crescita.

Gli obiettivi stagionali restano una salvezza tranquilla e la possibilità di gettare le basi per un miglioramento costante della qualità del gioco. Alzare l’asticella significa progredire sul piano della mentalità vincente e dell’acquisizione di un’identità tecnico-tattica che si proponga di ottenere risultati positivi attraverso un calcio efficace ma anche esteticamente gradevole.

Perché la Salernitana di Iervolino vuole consolidarsi in massima serie, ma nei suoi programmi occupano uno spazio significativo anche il desiderio e l’ambizione di scalare posizioni nel gotha calcistico italiano.

Maurizio Iuliano

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