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Dal miracolo del 7% alla rottura, gli undici mesi della Salernitana di Davide Nicola

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Un’avventura lunga 335 giorni che, tra alti e bassi, resterà impressa nella storia della Salernitana. Termina oggi l’era di Davide Nicola alla guida dell’Ippocampo. Avventura che partì nel piovoso pomeriggio del 15 febbraio 2022, quando il tecnico sbarcò al Mary Rosy accettando di guidare una squadra allora ultima con 13 punti e a -8 dalla salvezza.

L’ex allenatore del Toro esordì all’Arechi con un incredibile 2-2 contro il Milan, primo passo di un percorso da brividi. “Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale”, scrisse il tecnico sui social nel dopogara. Parole premonitrici, nonostante delle prime settimane difficili.

Perché, dopo il promettente pari contro i futuri Campioni d’Italia, l’instant team targato SabatiniIervolino non riuscì a vincere neanche una volta in sei gare: 1-1 col Bologna, 5-0 in casa dell’Inter, 2-2 con il Sassuolo, 2-0 all’Allianz contro la Juve, poi 0-1 con il Torino e 2-1 all’Olimpico contro la Roma. Il tutto nonostante il cambio modulo dal 4-2-3-1 al 3-5-2, passando per il 3-4-2-1.

La Salernitana di Nicola fu fino a metà aprile un continuo vorrei ma non posso, in virtù del quale la matematica restava l’unica a frapporsi tra il cavalluccio e la retrocessione in B. Il Sabato Santo fu però punto di svolta, perché Sepe e compagni espugnarono Marassi battendo 2-1 sulla Sampdoria grazie a Fazio e a Ederson.

La vittoria in Liguria fu il primo dei 7 risultati utili consecutivi che valsero ai granata la salvezza. Arrivarono infatti i successi nel recupero giocato a Udine (rete di Verdi al 94’) e nel lunch match interno contro la Fiorentina, vinto 2-1 grazie a Djuric e Bonazzoli.

Poi l’1-1 di Bergamo (reti di Ederson e Pasalic), prima del recupero vinto 2-1 con il Venezia con i sigilli di Bonazzoli e Verdi. Seguì la doccia fredda con il Cagliari, match in cui la zuccata di Altare in zona Cesarini pareggiò il penalty di Verdi, impedendo alla Salernitana di fare il passo decisivo per la salvezza.

Nonostante ciò, i granata ebbero il match point già ad Empoli. Il pomeriggio del Castellani fu però maledetto: a Cutrone rispose la rovesciata di Bonazzoli, poi un Vicario sugli scudi (e di proprietà del Cagliari) parò il rigore di Perotti. A 90’ dalla fine, lo scenario era dunque delineato: Salernitana a +2 sui sardi, battere un Udinese senza obiettivi in casa sarebbe stato sufficiente.

E invece, il 22 maggio si trasformò nella serata leggendaria e surreale che neanche il migliore degli sceneggiatori avrebbe potuto partorire. Una Salernitana in pieno cortocircuito fisico, tattico e soprattutto mentale venne travolta dall’Udinese, che chiuse la pratica già nel primo tempo con Deulofeu, Nestorovski e Udogie.

A inizio ripresa il poker di Pereyra (che aveva anche sbagliato un rigore) spostò testa e occhi degli oltre 30 mila dell’Arechi dal campo al cellulare, in attesa di buone notizie da Venezia. Nonostante i reiterati tentativi, il Cagliari non andò oltre lo 0-0, e la Salernitana poté festeggiare la sua prima salvezza in Serie A, chiudendo il torneo a 31 punti.

Il 7% divenne così 100%, il sogno si trasformò in realtà, l’instant team in instant dream, come scrisse sui social Nicola. Con 18 punti in 15 partite (4 vinte, 6 pareggiate e 5 perse), il tecnico piemontese centrò la sua quarta salvezza in A, dopo quella da inizio campionato il Crotone e le due da subentrato con Genoa e Torino.

Il miracolo valse a Nicola e al suo staff il rinnovo biennale, formalizzato il 3 giugno dopo il terremoto delle 48 ore precedenti, segnato dall’insanabile rottura tra Iervolino e Sabatini. L’evento – seguito dalla nomina di De Sanctis quale nuovo ds – aprì un’estate non semplicissima per il tecnico, costretto a partire per il ritiro austriaco con pochissimi nuovi acquisti e tanti calciatori giovani e/o fuori dal progetto.

Non fu un caso, infatti, la sconfitta interna in Coppa Italia contro il Parma, arrivata dopo una particolare vigilia in cui a presentarsi in sala stampa fu De Sanctis e non – come da prassi – l’allenatore. Il ko di Coppa fu un campanello d’allarme, tant’è che tutt’altra Salernitana si presentò in campo sette giorni dopo – il 14 agosto – alla prima di campionato contro la Roma.

In settimana De Sanctis calò i colpi Candreva, Vilhena e Bronn, innesti successivi ai vari Lovato, Botheim, Valencia, Bradaric, Sambia, Bonazzoli, Pirola e Kastanos e precedenti a Maggiore, Dia, Daniliuc e Piatek. Il campionato si aprì con una sconfitta di misura contro la formazione di Mourinho, sciupona ma vittoriosa grazie al gol di Cristante.

Schierati col 3-5-2, dogma su cui è stato costruito il mercato estivo, i granata trovarono il primo punto con lo 0-0 di Udine. Poi il roboante 4-0 sulla Sampdoria, prestazione tra le migliori della Salernitana targata Nicola e non solo. Seguirono i pareggi con Bologna (fuori) ed Empoli (in casa), prima dell’ottimo 2-2 esterno contro la Juventus.

Dopo il pari di Torino (di cui si parlò fin troppo per il fuorigioco fantasma di Candreva e poco per la gran prova di Mazzocchi e compagni), una Salernitana in versione sbornia perse 2-1 in casa con il Lecce. Seguì poi il pesantissimo 5-0 subìto a Reggio Emilia. Sconfitta dopo la quale in sala stampa arrivarono gli attacchi – tutt’altro che velati – di De Sanctis nei confronti di Nicola. Prova di un feeling mai sbocciato tra le parti.

La settimana dopo fu Salernitana – Verona, e il golazo di Dia allo scadere firmò il 2-1 salvando la panchina del tecnico dopo una prova tutt’altro che brillante. In seguito, il 2-0 con l’Inter a San Siro, poi la perla di Mazzocchi regalò tre punti pesantissimi contro lo Spezia in un altro pomeriggio sottotono dei granata.

Il 30 ottobre l’apoteosi, con l’1-3 in rimonta all’Olimpico contro la Lazio. Vittoria contro l’ex casa madre che valse a Nicola e ai calciatori una grande accoglienza al ritorno in città. Eppure, fu l’inizio della fine. Il 2-2 con la Cremonese fu seguito dalle sconfitte di Firenze e Monza, che misero nuovamente in discussione il tecnico all’alba del lungo stop del campionato.

La società scelse però di non cambiare, attraverso il famoso comunicato del 15 novembre. Testo nel quale si leggeva di “spirito di coesione e unità”, di “piena e totale condivisione”, e si rimarcava come Iervolino, De Sanctis, Milan e Nicola fossero “unanimemente convinti nel proseguire”. I fatti successivi, come noto, hanno detto tutt’altro.

La sosta mondiale, con il ritiro turco e il rientro a Salerno. Poi la sconfitta col Milan, seguita da 24 ore caldissime: il botta e risposta tra tecnico e ds nel dopogara, poi il pranzo del day after. Segue l’1-1 con il Torino, prima del clamoroso 8-2 di Bergamo. Punto di non ritorno, per vari motivi: ennesimo suicidio tattico, ma soprattutto dimostrazione di una squadra troppo molle, distratta e superficiale per essere vera.

Nicola chiude così i suoi 11 mesi a Salerno con 36 punti in 34 panchine, di cui 8 vittorie, 12 pari e 14 sconfitte. A condannare il tecnico sono però le ultime 6 gare, in cui quali la Salernitana ha conquistato solo 2 punti facendo peggio di tutte in A. Striscia che ha condotto i granata a raggiungere anche quota 35 gol subìti (quasi 2 a partita), diventando così la peggior difesa del torneo.

A far riflettere, però, sono soprattutto quei 18 punti ottenuti in altrettante partite di questo campionato. Numeri perfettamente in linea con l’obiettivo salvezza. Numeri che lasciano pensare ad un esonero principalmente radicato in un rapporto – umano, prima che tecnico – divenuto ormai troppo freddo con le altre anime del progetto granata. In primis, probabilmente, proprio con i calciatori.

Manuel Palumbo

Facendo sport, guardando sport, raccontando sport, vivendo sport

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