Editoriale

Comprensibile la delusione dell’Inter, ma non si dica che è stata solo buona sorte

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La fortuna, si sa, bisogna esser bravi a meritarla. La Salernitana ammirata nell’ultimo terzo di gara, è riuscita nell’intento di portarla dalla sua parte.

Non era affatto scontato rimettere in sesto un match caratterizzato, per larghi tratti, dalla superiorità tecnica dell’avversario, da errori evitabili ed anche da qualche scelta tattica opinabile.

Lo scoramento e la sfiducia avrebbero potuto annichilire la volontà del gruppo di crederci fino in ondo, ed invece non è accaduto.

Perché gli uomini di Sousa sono emersi dalle nebbie del primo tempo affidandosi ad un pacchetto importante di idee, da sviluppare nei secondi quarantacinque minuti.

Pertanto, anche le discutibili scelte iniziali del trainer lusitano, strada facendo, hanno lasciato spazio ad un calcio razionalmente ostinato nella ricerca di trame offensive letali.

Riuscire nel proposito, contro una squadra esperta, concentrata e determinata, con le lancette dell’orologio impietose nel loro incedere, è una nota di merito oggettivamente incontestabile.

Per quanto creato e sciupato nel corso dell’intera contesa, l’Inter avrebbe sicuramente meritato i tre punti.

Sostenere che il pari di Gyomber e compagni sia ‘solo’ figlio del caso, invece, rappresenta un evidente indizio di disonestà intellettuale.

In cassaforte, intanto, viene aggiunto un altro prezioso punto, utilissimo a ridurre ulteriormente i passi da compiere per tagliare il traguardo di una tranquilla salvezza.

Il coach portoghese opta inizialmente per il canonico 3 4 2 1 della sua gestione, vestendolo di eccessiva prudenza con Bronn esterno intermedio a destra. Per il resto, conferma di Vilhena nelle funzioni di partner di Coulibaly e nuova panchina per Dia.

La sensazione è che l’ex mister della Fiorentina voglia innanzitutto impedire all’Inter di esercitare una disinvolta agibilità offensiva.

Restare attaccato alla partita, stancare fisicamente e psicologicamente i blasonati avversari, per avvalersi in seguito dell’estro e della vivacità atletica del forte attaccante senegalese.

La scelta non paga, perché il difensore tunisino, chiaramente a disagio, entra immediatamente in difficoltà nel fronteggiare un esterno di qualità ed esperienza come Gosens.

Il gol nerazzurro impiega sei minuti a materializzarsi: a realizzarlo è proprio l’ex esterno dell’Atalanta, favorito dalla distrazione enorme commessa dal dioscuro nordafricano.

Il taglio di facile lettura del laterale mancino nerazzurro rappresenta una rapida resa di Bronn al cospetto di mansioni non comprese nel suo dna calcistico.

Riluttanza confermata da un’altra svista analoga e da un facile colpo di testa concesso in piena area al suo dirimpettaio.

Tanto è bastato per essere costretti a rivisitare un match che custodiva codici tattici capaci di rendere meno agevole il compito di Lukaku e compagni.

Sousa, infatti, immaginava di inaridire la costruzione bassa interista opponendo Piatek, Candreva e Kastanos, oppure portando in presidio difensivo i due mediani granata quando la prima pressione veniva elusa dal palleggio degli ospiti. Il tutto completato dalla presa in consegna di Barella e Mkhitaryan tra le linee da parte dei braccetti (Daniliuc e Pirola) del terzetto difensivo. Senza mai abbandonare la marcatura stretta di Correa e Lukaku negli ultimi venti metri.

In fase offensiva, invece, il fine risiedeva nella capacità di attivare una possibile libertà di Kastanos e Candreva nella trequarti lombarda. Per costringere l’Inter a fare densità centralmente, per guadagnare con i cambi di gioco la possibilità di affondare sulle corsie esterne e rifornire la fisicità di Piatek. Nei sedici metri rivali o dandogli, con le verticalizzazioni improvvise, la possibilità di aggredire la profondità.

Il progetto è subitaneamente naufragato in difesa, a causa della leggerezza di Bronn. Mentre la fase offensiva è stata neutralizzata da Inzaghi, che ha chiesto ai suoi calciatori un 3 5 2 meno scolastico rispetto al solito. Con i braccetti di difesa (Darmian e Acerbi) in pressione su Candreva e Kastanos, e le mezzali (Barella e Mkhitaryan) a tamponare la prima costruzione della difesa granata.

Il gol realizzato, inoltre, ha sciolto la tensione dell’Inter, che, accantonata la necessità di sbloccare il risultato, ha iniziato a muovere velocemente la sfera e a trovare spazi invitanti tra le maglie degli intimoriti padroni di casa.

Prima dell’intervallo, per tre volte Lukaku ha avuto la possibilità di mettere in discesa il match. Imprecisione al tiro e riflessi felini di Ochoa hanno mantenuto il risultato in bilico.

Il secondo tempo si è aperto con la necessaria rivoluzione tattica di Sousa: dentro Dia, al posto di Bronn, e squadra disposta con il 4 2 3 1. Con Candreva trequartista, Kastanos e Dia ad alternare iniziative esterne e densità centrale a ridosso dell’area nerazzurra. In difesa, Daniliuc impegnato a dare una mano a Pirola e Gyomber e a vigilare sulle sortite di Gosens.

La gara è diventata meno semplice per l’Inter, consapevole del mutato peso offensivo del quartetto avanzato granata. Come si evince anche dall’ordine impartito da Inzaghi a Gosens, al quale è stato chiesto di aiutare il terzetto di difensori centrali a conservare superiorità numerica in fase di non possesso.

La tecnica e la vivacità di Dia, il movimento di Candreva sull’intero fronte offensivo, la fisicità di Piatek al servizio del partner senegalese, ma anche la ricerca dello spazio di un Vilhena meno timido e le prime incursioni di Bradaric a sinistra, hanno iniziato a produrre piccole crepe nella retroguardia nerazzurra.

Al di là del tabellino che, in tutta onestà, ha continuato a registrare le occasioni sciupate dall’Inter (Lukaku e Lautaro), gli errori granata in fase di disimpegno (Palo di Barella) e le portentose parate di Ochoa (Barella, Lukaku, De Vrij e Mkhitaryan).

Però la Salernitana c’era, finalmente dava la sensazione di poter far male ad Acerbi e compagni. Nel suo tentativo di rimonta erano visibili coraggio, intraprendenza, necessarie dosi di incoscienza ma anche idee chiare. Sia sulla panchina che in campo, dove elementi esperti come Candreva, Dia e Piatek rappresentano una clientela difficile per tutti.

Capacità offensiva diventata ancora più marcata con l’ingresso in campo di Nicolussi Caviglia, che è riuscito ad incrementare il tasso di intensità e creatività del forcing finale granata.

E ritorniamo alla ricerca ostinata, ma soprattutto ragionata, della soluzione vincente in grado di ristabilire la parità. Con il talentino di casa Juve in campo, la Salernitana ha aumentato i giri del motore e l’imprevedibilità delle sue soluzioni offensive. In fase di possesso, infatti, i ragazzi di Sousa hanno iniziato ad esercitare la loro pressione attraverso una sorta di 3 2 5. Con Vilhena e Nicolussi Caviglia a muovere palla e ad accompagnare rapidamente gli attacchi condotti, da destra a sinistra, con Kastanos, Candreva, Piatek, Dia e Bradaric. In sostanza, la Salernitana ha iniziato ad assediare il fortino nerazzurro, portando tanti uomini negli ultimi trenta metri rivali.

L’Inter ha perso gradualmente certezze, si è abbassata, è andata spesso in affanno, non riuscendo più ad inibire sul nascere le iniziative degli avversari.

Candreva e Dia, non esattamente due ragazzini di primo pelo, tutt’altro che carenti in personalità e doti tecniche, hanno fiutato l’odore del sangue e azzannato cinicamente la preda. Tirando fuori due giocate importanti in extremis, come sanno fare solo i calciatori di livello superiore.

Comprensibile l’amarezza finale dell’Inter, che avrebbe meritato di portare a casa l’intera posta in palio.

Ma non si dica che il pareggio della Salernitana è stato esclusivamente un regalo della buona sorte. La squadra ed il suo tecnico, dopo gli errori del primo tempo, hanno saputo costruire, pazientemente e con qualità e idee, le fondamenta su cui edificare un insperato risultato positivo.

Maurizio Iuliano

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