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L’analista economico Vettosi: «Iervolino ha già sborsato 57 milioni. Commessi tanti errori, ma i tifosi se lo tengano stretto»

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Qualche giorno fa, in un intervento a Radio Napoli Centrale, l’esperto di economia Fabrizio Vettosi si è soffermato brevemente sulla situazione finanziaria della Salernitana, dichiarandosi poi disponibile a spiegare ai tifosi quali sono gli aspetti critici del bilancio del club. SoloSalerno.it ha raccolto l’invito.

Dottor Vettosi, ai colleghi di Napoli ha parlato di «114 milioni di euro di investimento» da parte della società. Potrebbe chiarire la natura di questa cifra?

«Voglio essere più preciso e rigoroso tecnicamente. Provo a semplificare: La Salernitana, nelle ultime due stagioni, ha impiegato risorse finanziarie per 118 milioni di euro. Parliamo di flussi di cassa, quindi di risorse finanziarie effettivamente movimentate, e non della situazione del conto economico che, invece, è riferita ai costi e ricavi di competenza dei singoli esercizi. Di questi 118 milioni di euro, più della metà provengono dall’apporto dell azionista del club, e il resto da risorse esterne: banche ed altri finanziatori (aumentate per 18,3 milioni) e la parte residuale dal flusso del circolante (debiti di natura operativa connessi anche all’acquisto dei calciatori).

Come sono stati spesi questi soldi?

«Per i due terzi, circa 78,7 milioni di euro, si tratta di spese per investimento, ovvero calciatori».

È una cifra ingente.

«Decisamente. La plusvalenza di Ederson ha mitigato parzialmente questo impegno di risorse finanziarie a 104 milioni, ma si tratta comunque di molti soldi».

Facciamo chiarezza. Quanto denaro ha investito personalmente il presidente Iervolino?

«57,5 milioni di euro al 30 giugno 2023. Bisogna poi considerare altri 10 milioni per l’acquisto della società. Non sono in grado di dirle se nel corso dell’attuale esercizio vi siano stati ulteriori apporti di risorse da parte del presidente».

Non ritiene che retrocedere ad aprile dopo un investimento così corposo rappresenti un’aggravante?

«Sicuramente il risultato sportivo si accompagna agli esiti delle scelte manageriali, a dimostrazione che l’industria del calcio, al di là di quanto sostengono in molti, è caratterizzata dalle stesse dinamiche di altri settori industriali, e che di fatto non esistono maghi. Il risultato sportivo e l’equilibrio economico-finanziario devono sempre coesistere, altrimenti qualcosa non funziona e prima o poi le conseguenze si fanno sentire. Sono stati acquistati molti calciatori, forse troppi se si vede quanti tesserati, tra tecnici e calciatori, ha la Salernitana in organico. Il rendimento di molti di loro, pagati anche cifre ingenti e con remunerazioni abbastanza elevate, è stato spesso insoddisfacente. Soffermiamoci sul costo del personale. Nella stagione 2021/22 ammontava a 44,8 milioni di euro, aumentato a 63,7 milioni nella stagione successiva. Ovviamente tali importi si riferiscono per gran parte all’area tecnica e costituiscono oltre il 100% dei ricavi ricorrenti del club. Sa quanti dipendenti ha la Salernitana?».

La ascoltiamo.

«126. Di cui 95 sono tesserati Figc e ben 7 dirigenti. Un numero molto elevato, soprattutto nell’ambito dell’area tecnica».

E la situazione debitoria com’è?

«I debiti finanziari ammontano a 26 milioni, quasi integralmente per supportare l’anticipo delle rate dei diritti televisivi».

Possiamo affermare che, dopo la salvezza del 2022, la società ha fatto il passo più lungo della gamba?

«Direi che forse c’è stato un eccesso di ottimismo che è tipico del calcio. Nessun’altra industria porta umanamente ad inebriarsi mediaticamente come il calcio: di esempi potrei raccontarne a decine nei miei cinquant’anni di calcio. Soprattutto, questa forma di entusiasmo caratterizza i new comers, imprenditori che non avevano mai provato l’ebbrezza di una curva inneggiante al loro nome. Considerate le modalità della salvezza del 2022, dovuta più al suicidio sportivo del Cagliari che al mercato di Sabatini, la società avrebbe dovuto approcciarsi al campionato 2022/23 come se l’anno prima fosse retrocessa, impostando una politica di crescita a medio termine senza aggravare i conti societari in così poco tempo».

In che modo?

«Più che acquistare calciatori costosi, avrebbe dovuto puntare sui giovani migliorando l’area tecnica dedicata al loro sviluppo. Avrebbe potuto trasformare Paulo Sousa in un manager a tutto tondo sfruttando la sua cultura e le sue capacità, che non sono soltanto tecniche ma anche organizzative e manageriali, maturate all’interno di grandi club con esperienza internazionale. E poi avrebbe dovuto investire sullo sviluppo e l’organizzazione dell’area tecnica, penso ad una academy in stile Torretta per il Palermo, che ho visitato personalmente, e che avrebbe dato un vantaggio competitivo unico alla Salernitana in Campania, e forse al Sud, rispetto ad altri club professionistici vicini: la sola esistenza di una struttura di alto livello avrebbe attratto i migliori giovani talenti dell’intero territorio del Mezzogiorno. Con una proprietà così forte come quella di Iervolino la Salernitana avrebbe sicuramente intrapreso una strada altamente virtuosa».

E dal punto di vista gestionale quali sono i principali interventi che dovrebbe compiere la società?

«Credo che il presidente Iervolino debba ragionare di più autonomamente. Mi sembra – ma si tratta di sensazioni che maturo dall’esterno – troppo incline ad ascoltare i suggerimenti di soggetti esterni e consulenti che, forse, non sempre hanno interessi allineati a quelli aziendali. Si sa che nel calcio non mancano figure che, per visibilità e interessi personali, fanno fatica ad identificarsi con l’azienda, o a volte fanno finta di esserlo… Sarebbe saggio affiancare a Maurizio Milan, manager a mio avviso di grande valore, un football manager, quasi un COO (Chief Operating Officer) che abbia deleghe piene su tutta l’area sportiva ed organizzativa, dalla scelta dello staff al mercato, fino all’organizzazione del settore giovanile e sanitario, ovviamente nel rispetto del vincolo finanziario imposto dallo stesso Milan. Per certi versi, dovrebbe prendere esempio dal suo collega De Laurentiis che, anche se in maniera non sempre strutturata, ha impostato un modello di business molto efficiente».

De Laurentiis?

«Il presidente del Napoli ha due volti. In pubblico si dimostra molto sicuro di sé, a volte può apparire quasi arrogante. In privato, in effetti, è molto diverso: se intuisce che il suo interlocutore è competente su un qualsiasi argomento, può stare un’ora intera ad ascoltare in silenzio, parlando soltanto per fare domande. Può sembrare strano, ma ha un approccio umile che, nel tempo, genera scelte corrette e risultati invidiabili dal punto di vista gestionale. È come una spugna: nei primi anni di esperienza è come se avesse fatto un master intensivo di management dello sport ascoltando i consigli giusti».

La Salernitana disputerà la stagione 2024/25 in Serie B. Che cosa ci dobbiamo aspettare dal punto di vista economico-finanziario?

«Nell’ultimo bilancio, la Salernitana ha registrato ricavi per circa 70 milioni, comprensivi della plusvalenza di Ederson, e quindi circa 56 di natura ricorrente. Una società di Serie B può aspirare, al massimo, a ricavi per 5/7 milioni, forse 10 se concorre per vincere il campionato. I costi, poi, non scendono con la stessa velocità. La Salernitana è gravata da contratti lunghi e onerosi. Molti calciatori dovranno essere ceduti, e per tanti altri che non hanno mercato si dovrà procedere con le termination, ovvero risolvere i contratti pagando le buonuscite. Mi aspetto una perdita operativa (al netto di eventuali plusvalenze) ancora consistente, forse superiore ai 20 milioni per l’esercizio in corso, che solo parzialmente potrà essere mitigata dal paracadute nell’esercizio successivo. Poi bisognerà ricostruire la squadra e provare a mantenere un equilibrio economico».

Insomma, la situazione non è rosea. Ma si può rimediare?

«Certo. La Salernitana ha tutto per risollevarsi: un forte brand, un’identità molto marcata, una felice collocazione geografica che per essere un’azienda di entertainement è un requisito strategico. Ha una quota di mercato in Campania superiore al 7%, ma soprattutto un legame con il suo target di riferimento che è tra i più forti di tutto il Mezzogiorno. Sembrerà assurdo, ma ritengo sia forte, in proporzione, quanto quello del Napoli, e lo dico da napoletano. Da questo punto di vista, la Salernitana è il Genoa del Sud. Vanta un potenziale economico-finanziario da scoprire, da valorizzare, perché ha tutti i numeri per situarsi a metà strada tra l’Atalanta e il Genoa. La società dovrebbe cominciare a ispirarsi alla gestione di club ben condotti come la stessa Atalanta, orientati al medio termine più che al breve termine».

Circolano voci di una cessione della società. A suo avviso, considerato il salto all’indietro di categoria, quanto vale la Salernitana?

«Bisogna essere sinceri: sulla base delle performance economico-finanziarie attuali non possono esserci grandi aspettative. Come ho già detto, la Serie B non genera ricavi rilevanti, e i margini operativi, se non supportati da componenti straordinarie come le plusvalenze, sono spesso negativi. Inoltre, l’eventuale acquirente dovrebbe considerare di iniettare ulteriori risorse per portare il club all’equilibrio economico-finanziario in un arco, al massimo, di un biennio».

Quindi al presidente Iervolino potrebbe non convenire venderla?

«Se dovessi dare un suggerimento al dottor Iervolino, gli direi di non vendere la Salernitana con il rischio di svenderla. Si tratta di un’azienda che, al contrario di altri cub, ha una forte identità di marchio e stabilità dei ricavi. Basterà soltanto essere molto attenti nella gestione operativa per farla diventare un’azienda capace di generare reddito e flusso in maniera stabile e, quindi, valorizzarla adeguatamente, cosa a mio avviso fattibile con un paio d’anni di pazienza, dedizione e sacrificio. D’altro canto ritengo che per lui non sia un gioco bensì una divisione importante del suo family office e, pertanto, ci tenga a preservare e valorizzare questo suo asset».

Cambierebbe qualcosa con uno stadio di proprietà?

«Sugli stadi ho un’opinione diversa da quella di molti analisti. Nel calcio italiano, lo stadio di proprietà incide pochissimo. In primo luogo, si tratta di un investimento oneroso che pochi club si possono permettere, forse nessuno se si ipotizza di farlo da soli. E poi sono molto scettico sulla strategia di revenue management. La normativa nazionale non consente lo sviluppo di iniziative edilizie ancillari, e poi in Italia le persone hanno più alternative su come trascorrere il proprio tempo libero rispetto ai paesi del Nord-Europa. Un dirigente di un importante club tedesco mi raccontò che la notevole affluenza nel centro commerciale situato nello stadio era dovuta principalmente alla scarsità di alternative in città. Se li immagina i salernitani, con il clima di cui godono dalla primavera all’autunno e le bellezze di cui beneficiano a pochi chilometri dalla città, recarsi in massa in un centro commerciale per passare il loro tempo libero?»

In effetti no. Ma i ristoranti? E le aree hospitality?

«In Italia i ristoranti sono dappertutto… Quanto alle aree hospitality, in effetti, hanno molto senso per massimizzare la godibilità dello stadio e i relativi ricavi. Ma bastano pochi milioni per attrezzare bene uno stadio con un’idonea area hospitality, non occorre realizzare una cattedrale imperiale. Non è un caso che gli stadi di proprietà in Italia siano soltanto cinque. Un imprenditore non investe negli stadi perché sa che rendono poco: non mi stupisce che il presidente Iervolino non si sia opposto al restyling dell’Arechi a spese della Regione. Costruire uno stadio nuovo non conviene. Altra cosa è ammodernare uno stadio già esistente che, a fronte di investimenti tutto sommato limitati e anche redditizi, sia per la collettività che per il privato, consentirebbe ricavi incrementali costanti nel tempo. È ciò che è accaduto al Ferarris di Genova, dove con cinque milioni di spesa hanno costruito dieci sky box e quattro ristoranti e ristrutturato una tribuna, senza costruire un altro impianto».

Per concludere, che cosa consiglierebbe a Iervolino e ai tifosi della Salernitana?

«Al dottor Iervolino, di restare in sella alla società, risanarla e riportarla in Serie A. Ai tifosi, di tenersi stretto un presidente che, con tutti i suoi errori, costituisce un unicum nel calcio italiano: quali altri proprietari hanno investito così tanti soldi in così poco tempo? Non contestatelo, rispettatelo e mantenete un dialogo aperto con lui. E occhio alle proprietà straniere, soprattutto a quelle americane. A parte Krause del Parma, e Commisso che però considero italiano, ritengo che gli americani debbano occuparsi, nell’ordine, di baseball, football americano e pallacanestro… Al limite di hockey su ghiaccio!».

Grazie, dottor Vettosi.

«Di nulla. Sono napoletano, ma seguo la Salernitana fin dai tempi del Vestuti, e ricordo l’inizio delle avventure all’Arechi. Ogni tanto ritrovo qualche ex di quell’epoca nel mio campionato dei calciatori over… Successivamente ho collaborato, rimanendo nell’ombra, nella società del mio amico Aniello Aliberti. Conosco bene e sono affezionato a Salerno ed alla Salernitana e so bene quali sono le sue potenzialità».

Marco Giannatiempo

Autore del podcast settimanale "Agostino": https://shorturl.at/hyZ01

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