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Addio a Fulvio De Maio: «Bruno Carmando e l’avvocato Tedesco i miei punti di riferimento. Daolio e Pantani i più forti».

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Poche ore fa Fulvio De Maio ci ha lasciato. Unendosi al cordoglio dei familiari, la redazione di solosalerno ripropone l’intervista rilasciata nel gennaio scorso al nostro Ernesto Curcione.

Ciao Fulvietto!

Questa settimana abbiamo scelto di chiacchierare di Salernitana con Fulvio De Maio. L’amicizia che lega l’ex portiere della Salernitana al sottoscritto ha reso molto più facile il mio compito perché, negli anni della nostra frequentazione, ho avuto modo di conoscere tanti aneddoti legati alla Salernitana ed al suo mondo fatto di società inadempienti, di calciatori straordinari e di personaggi che hanno segnato l’epoca in cui vestire la maglia granata significava raggiungere quasi un apice di carriera. Negli anni lo abbiamo visto calciatore, preparatore dei portieri (nell’anno della gestione Simonelli) e poi opinionista. Un personaggio che ha sempre diviso, forte di un carattere che lo ha portato a dire sempre “pane al pane e vino al vino”. L’amore per la Salernitana lo ha indotto anche a fare scelte di carriera penalizzanti perché, checché se ne dica, Fulvio aveva delle doti tecniche che avrebbero potuto spingerlo anche verso palcoscenici più importanti ma, per uno davvero “nato al Vestuti”, la maglia granata è stata una vera seconda pelle. Sarà una chiacchierata diversa dalle altre, con poco calcio e molta vita vissuta, quella che ha scelto di vivere nel segno della salernitanità. I lettori mi perdoneranno se invece del classico Lei userò il confidenziale Tu.

Fulvio, il rapporto tra i giocatori di Salerno ed i tifosi è stato sempre “particolare”. Ci si aspettava sempre qualcosa in più. Come te lo spieghi?

«Assolutamente si. Non è facile essere un salernitano che gioca nella Salernitana. La cosa ha riguardato me , Santucci, Capone, Gentile fino ad arrivare ai giorni nostri con Fusco, Grassadonia e l’elenco potrebbe esser ancora lungo. Ricordo un episodio che mi capitò dopo una partita quando io uscii fuori e c’era tanta gente nel piazzale. Si avvicinò un signore che mi disse “tu t’arruobb i sord miei! (ti stai rubando i miei soldi)”. Era anche una persona che conoscevo. Quella frase mi rimase impressa perché non solo io prendevo meno di tutti ma queste cose le dicevano solo a me. Invece, dopo un derby con la Cavese, feci una parata straordinaria su un tiro di Cassarino ma non sentii molto entusiasmo, come se fosse stata una cosa normale. Dopo una partita con il Campobasso un giornale titolò “De Maio non ripete i miracoli” perché nelle gare precedenti avevo fatto bene. Ma non potevo fare sempre io i miracoli! Anche i giornali dell’epoca non erano teneri con me. Ti racconto un episodio che non riguarda me: Antonio Capone in una partita dribblò tre o quattro avversari e crossò per Vitulano, che avrebbe dovuto solo mettere in porta quel pallone. Il problema fu che Vitulano tirò di destro, che non era il suo piede. Un tifoso dietro la panchina incolpò Capone, reo di non aver crossato bene. Mi girai verso questo tifoso e gli feci capire il suo sbaglio. Con i miei modi…».

Ti rimproveri qualche scelta?

«Sbagliai ad andare a Melfi nel 78 quando ci fu il ritorno di Rosati. Il mister mi pregò di restare per fare il secondo portiere e sono sicuro che se fossi rimasto avrei fatto il titolare perché quell’anno successe di tutto. Il titolare era Tani che fece male e fu preso di mira dalla gente. Si alternarono in porta Anellino, il giovane Zenga e Favaro. Tani era forte ma molto emotivo, Zenga era giovanissimo e sicuramente avrei giocato io perché già allora avevo una sessantina di presenze. Sbagliai ad andare via perché volevo giocare ed accettai la quarta serie. Da allora la mia carriera cominciò a finire. Errori di gioventù. Altro errore fu quando la Salernitana non volle venire incontro al Torino sul prezzo del riscatto. Io ero in prestito con diritto di riscatto a 25 milioni. Il Torino tentò di risparmiare sul prezzo e la Salernitana non accettò. Pensa che io ero il calciatore con più valore di mercato dopo Zaccarelli. Sai bene la carriera che ha poi fatto Zaccarelli. Se la Salernitana avesse accettato sarebbe stata una volta per me».

Nella tua esperienza salernitana cosa hanno rappresentato le figure di Bruno Carmando e dell’avvocato Tedesco?

«Bruno un vero e proprio punto di riferimento. Stravedeva per i salernitani, e per questo pretendeva da noi un atteggiamento sempre corretto proprio perché eravamo di Salerno. Per la Salernitana è stato unico. Era presidente, dirigente, massaggiatore, accompagnatore. Quando fu mandato via ci rimase molto male. Io avevo un rapporto speciale con lui. Sull’avvocato Tedesco posso dire che per me è stato come un secondo padre. Era un presidente che riuscì a costruire degli squadroni con poche risorse semplicemente perché era un competente. Solo un caso non ci ha permesso di vincere il campionato. Aveva entusiasmo da vendere. Era il classico presidente che stava sempre con noi e si prendeva le responsabilità delle sue scelte anche se in quel momento potevano sembrare impopolari. Con più risorse avrebbe potuto fare di più. Lui e Bruno Somma costruirono, senza soldi, squadre bellissime».

Raccontaci un episodio che lo ha riguardato

«Per spiegare il carattere dell’avvocato, racconto un episodio che successe durante una partita di Coppa Italia con la Turris. Noi avevamo un attaccante che si chiamava Roffi che giocò poco ma segnava sempre in Coppa. Il presidente Tedesco era in panchina e lui si avvicinò alla panchina dicendo che doveva andare via perché altrimenti avrebbe perso l’aereo. L’allenatore era Vitali che non si capacitava della sua richiesta, visto che stavamo ancora giocando. Si alzò l’avvocato dicendogli che, se avesse segnato, lo avrebbe fatto partire subito. Roffi dopo pochi minuti segnò il gol del vantaggio. Si girò verso la panchina ed il presidente gli fece cenno di andare via. Fortunatamente ci fu la possibilità di sostituirlo con De Gortes. Questo era il presidente Tedesco».

So che tu hai un debole per Pantani, ma c’è un calciatore che, a parte lui, avrebbe potuto fare una carriera più importante?

«Daolio sicuramente. Un centrocampista incredibile. Lui sarebbe potuto arrivare in Nazionale. Potrei dirtene altri come Mimì Di Maio, mezz’ala, così come Zazzaro. Come dimenticare un attaccante come Mujesan? Ricordo che quando noi andammo a giocare a Bari un tifoso si rivolse a Losi, allenatore del Bari dicendo: “Losi fai attenzione! Dio perdona, Mujesan no!”. I baresi lo ricordavano bene perché con loro fu capocannoniere».

Il gol più incredibile che hai subito

«Non è stato un gol bensì un autorete di Fraccapani contro il Matera. Premetto che Fraccapani era un difensore straordinario e molto arcigno. Se giocasse adesso, però, non farebbe più di dieci minuti. Detto questo, noi giocavamo in casa con il Matera e ci fu un cross che Fraccapani stoppò all’altezza del dischetto lui gridò: “Fulvio è tua!” ma, nella foga, fece un tiro che andò nell’angolino. Imparabile. Mi voltai verso di lui furioso e lui si scusò ma non mi capacitai. Diciamo che la trance agonistica lo portò a tirare forte. Mi piace pensare che sia andata così…».

C’è un allenatore con il quale hai avuto problemi?

«Diciamo che ebbi qualche problema con Regalia. Ricordo che Troilo, il portiere titolare, fu squalificato per quattro giornate insieme ad Abbondanza e, di conseguenza, giocai io anche molto bene. Conquistammo tre vittorie ed un pareggio. Dopo le quattro giornate di squalifica mi confermò e rovinò il mio rapporto con Troilo con il quale avevo fatto anche il militare. In Coppa Italia, Troilo si riprese il posto ma giocò malissimo. La domenica successiva Regalia mi disse che avrei giocato io ma nello spogliatoio il magazziniere mise al mio posto la maglia con il numero 12. Insomma, il magazziniere sapeva che non avrei giocato e io no. Diciamo che poi chiesi spiegazioni in maniera molto animata…»

Pantani

«Che dire. Un grande attaccante ed uno spirito libero. Diciamo che per un periodo è stato lui il vero allenatore. Il mister usciva e lui prendeva la parola dicendo cosa avremmo dovuto fare. Il suo bersaglio preferito era Santucci fondamentalmente perché gli voleva un gran bene. Era un grande calciatore ed un leader. Credo non abbia ancora perdonato Rosati per quella volta che lo mise fuori per due partite, a Chieti e Brindisi, e le perdemmo entrambe. Ancora adesso conservo ottimi rapporti con lui. Ama Salerno».

Chiudiamo con una considerazione sull’attuale Salernitana

«Per adesso sono contento di quello che sta facendo. È una squadra discreta ma ci sono almeno 4/5 squadre che sono superiori. Ha un allenatore pragmatico che ha capito fin dove può arrivare con i giocatori che ha. Per adesso sono contento».

E la società?

«Premetto che questa società non mi è simpatica per niente ma se la gente vuole contestare dovrebbe trovare anche una dirigenza pronta a subentrare. Io non credo che davanti ad una offerta congrua Lotito non venda. Io credo che in questo periodo di pandemia sia tutto più difficile, basti pensare che l’Inter ha problemi nel pagare gli stipendi. La multiproprietà? Una stupidaggine. Casillo aveva tre squadre. Le regole attuali però vanno rispettate ed in caso di promozione Lotito dovrà fare una scelta. Io penso che se venisse allo scoperto qualcuno intenzionato a rilevare la società Lotito tratterebbe anche perché, con la piazza che è per la maggior parte contro di lui, non potrebbe non sedersi a parlare. Io contesto a questa società il mancato rapporto con la città e con la gente. C’è solo Fabiani che, da solo, manda avanti la società. Farà anche errori ma è da solo».

Ernesto Curcione

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