Editoriale

Qatar 2022, un Mondiale, tante incognite

Tempo di lettura: 3 minuti
di Francesco Caremani

Al Rihla – il viaggio

Otto stadi, cinque città, due milioni di biglietti già venduti. Qatar 2022 è il primo Mondiale invernale della storia del calcio, il primo che entra in mezzo ai calendari internazionali a piedi uniti e dopo il quale il football potrebbe non essere più lo stesso.

Stadi con aria condizionata, e temperature massime di 31 gradi, fuorigioco semiautomatico – grazie a 12 telecamere montate nel sottotetto degli stadi, al monitoraggio continuo di 29 punti sul corpo di ogni calciatore, a immagini che vengono inviate 50 volte al secondo calcolando l’esatta posizione dell’atleta, l’eventuale fuorigioco sarà rilevato in tempo reale; gli spettatori allo stadio potranno vedere subito sui megaschermi, e in 3D, il fotogramma rivelatore dell’episodio, così sapranno cosa è successo – e un impianto, il Stadium_974, dal prefisso qatariota, completamente smontabile e costruito con materiali riciclabili.

Secondo i dati ufficiali sarà il Mondiale più ecologico e più tecnologico di sempre, con la promessa che l’aria condizionata sarà accesa solamente durante le partite.

La tecnologia investirà soprattutto i calciatori, sia con un sensore dentro il pallone, Al Rihla – che in arabo vuol dire «il viaggio» –, il quale invierà dati 500 volte al secondo, sia con Fifa Player App: subito dopo la fine di ogni partita gli atleti riceveranno sul loro smartphone un’analisi minuziosa della prestazione individuale.

Tra diritti civili e polemiche

Qatar 2022 è sicuramente il Mondiale più tecnologico ma pure quello più criticato, ancora prima di iniziare, e con zavorre sociopolitiche impossibile da cancellare.

Dalla corruzione per la sua assegnazione alla morte di oltre 6.500 lavoratori per la costruzione di stadi e infrastrutture, in un Paese in cui i migranti costituiscono il 95 per cento della forza lavoro; provenienti soprattutto da Bangladesh, India e Nepal.

Senza dimenticare le minacce di azioni repressive per gli esponenti della comunità Lgbtqia+, il divieto di manifestare e il ‘consiglio’ di non dare nell’occhio.

Tutti elementi che non potevano non provocare delle reazioni.

La Nazionale danese ha deciso di non portare con sé le famiglie per non contribuire ai profitti della Coppa del Mondo e si presenterà in campo con due maglie di denuncia, una rossa e una nera, senza dettagli in evidenza.

L’ex campione del mondo Philipp Lahm ha deciso di non fare parte della delegazione tedesca richiamando l’attenzione dei diritti umani nell’assegnazione delle manifestazioni sportive.

In molte città francesi non ci saranno né maxischermi né fan zone, considerando il Mondiale un disastro umano e ambientale.

Non per ultime Amnesty e Human Rights Watch hanno chiesto a Infantino, presidente della Fifa, 440 milioni di dollari di risarcimento per le famiglie dei lavoratori morti.

Emerge, infine, qualche problema organizzativo per un Paese di 2,8 milioni di abitanti che dovrà fare i conti con l’invasione dei tifosi, tanto da approntare delle navi da crociera per ospitarli tutti e con camere d’albergo a 1.000 euro a notte: qualche settimana fa c’erano ancora dei cantieri da chiudere e fan zone da rifinire.

L’ultimo valzer

Questo sarà anche il Mondiale di addio di una generazione di calciatori: da Cristiano Ronaldo a Messi, da Müller a Benzema, fresco Pallone d’Oro, da Di Maria a Neymar, da Thiago Silva a Modric, a Busquets.

Con l’argentino e il portoghese all’inseguimento dell’unico alloro importante che manca nella loro bacheca.

Di fatto sono già passati alla storia, ma una Coppa del Mondo è qualcosa di unico.

Considerando il periodo e il Paese ospitante potremmo anche assistere a una sorpresa, una vincitrice che non sia una squadra europea o sudamericana, vedremo: in fondo la bellezza del calcio è proprio questa, cioè l’incertezza del risultato; sempre più difficile da credere in mezzo a tanti soldi e tanta tecnologia.

E noi?

Noi non ci saremo.

Redazione

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