Editoriale

Una nave senza timoniere

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Debole, insicuro, timoroso, emotivo, impulsivo, piccato, e chissà quanti altri aggettivi potrebbero attagliarsi al presidente Iervolino che si è «mostrato nudo» ai giornalisti e agli appassionati in una conferenza stampa attesa come il tappone dolomitico ai tempi di Pantani.

Tono dimesso, ardore sopito, un pessimismo di fondo mal dissimulato dall’ottimismo forzato che ha manifestato dichiarando di credere nella salvezza. Una preoccupante prevalenza del passato sul futuro, degli «ho fatto» sui «faremo». L’entusiastica conferenza stampa d’insediamento – sono trascorsi appena 23 mesi – è soltanto un malinconico ricordo.

Dall’incontro di ieri con i giornalisti si ravvisa un Danilo Iervolino più debole, insicuro, timoroso. Che si sente solo, abbandonato dai suoi uomini e dall’ambiente. Che appare terrorizzato dall’eventualità della retrocessione, ma soprattutto dal non sapere come scongiurarla.

Rivelando la sua emotività ha provato a convincere gli ascoltatori che sì, ha commesso degli errori, ma tutti in buona fede. «Cosa avrei dovuto fare di più?», ha chiesto retoricamente il presidente rimarcando il suo impegno finanziario e operativo, come se la stampa e i tifosi gli imputassero l’avarizia e la buona volontà e non la carenza di figure competenti e carismatiche nella dirigenza, le intromissioni sue e dei suoi consiglieri nel mercato, il divario i tra roboanti annunci e i più modesti fatti, la confusione e i ritardi nelle decisioni prese.

Debole, insicuro, timoroso quando si assume la responsabilità del disastro sportivo nello stesso momento in cui scarica le colpe sui calciatori. Con ottime e comprensibile ragioni, certo: l’involuzione dei senatori non depone a favore della loro professionalità. Ma con modi e tempi sbagliati, fuori luogo, fuori fuoco: un all-in con in mano carte mediocri, un rischio che non valeva la pena di correre con diverse partite da giocare prima che il mercato invernale entri nel vivo.

Debole, insicuro, timoroso quando si difende dalle pur discutibili critiche attaccando tifosi e giornalisti. Due anni di presidenza dovrebbero essere sufficienti per comprendere che alla popolarità garantita dal calcio si accompagnano investimenti illogici in una prospettiva capitalistica, come gli rammentò l’esperto Galliani in tempi non sospetti, e talvolta scarsa riconoscenza e aperte contestazioni anche in situazioni meno caotiche di quella che vive la Salernitana. Non ci si dovrebbe impermalosire per ciò che, semplicemente, fa parte del gioco.

Debole, insicuro, timoroso quando difende l’operato di Morgan De Sanctis per poi rammentare a lui e a tutti i dipendenti che non deve niente a nessuno e che tutti devono a lui. Di fatto, ha sfiduciato il direttore sportivo a due settimane dal mercato, senza nemmeno aver individuato un sostituto né una figura dirigenziale a cui delegare senza ingerenze la gestione della parte sportiva, sulla quale sta ancora riflettendo mentre la nave affonda e il timoniere accusa i mozzi.

La Salernitana è condannata. Non alla retrocessione, che si è ancora in tempo per evitare, ma a dover navigare costantemente con un equipaggio mal diretto, una bussola rotta e una sola possibilità di non affondare nel mare in tempesta: una figura carismatica, esperta, competente e con le spalle larghe.

Con Walter Sabatini e con Paulo Sousa la nave è giunta in porto. In assenza di personalità di tal fattura tocca affidarci alle stelle.

Marco Giannatiempo

Autore del podcast settimanale "Agostino": https://shorturl.at/hyZ01

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