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Ne sono abbastanza certo.

Questo Sampdoria-Salernitana difficilmente resterà nella memoria di Claudio Ranieri.

Il numero di panchine ammonta quasi a 1300, 17 le squadre di club – due volte il Valencia, due volte la Roma – più una Nazionale.

Attraverso cinque nazioni, Claudio Ranieri è uno che nel calcio, da qualche parte, c’è sempre stato.

Quando sarà il tempo dei ricordi e dei bilanci, questo terzo turno di Coppa Italia non ci sarà.

L’occasione quindi è buona solo per me.

Il fatto è che mi è stato sempre simpatico, questo quasi settantenne – ancora ben portati anche se nel suo tempo a Leicester aveva una silhouette da atleta ­– che ha avuto sempre una sola vera patria: la panca.

E per quasi contiguità generazionale lo seguo da sempre.

Ho visto quindi il calciatore – non si offenda, meglio, molto meglio l’allenatore – che era una sorta di Bruscolotti del Catanzaro.
Mi affascina la storia semplice, di un signore che è passato dal “Fettina” del Testaccio – anche se nella macelleria paterna non ha mai messo piede – a “sir” Claudio a Leicester, e lì baronetto avrebbero dovuto farlo davvero.

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Ma in verità io lo ricordo dalla breve esperienza di Pozzuoli, prima che Carmine Longo lo inventasse allenatore di prima fascia in un Cagliari low budget che volò in A dalla C.
Mi riconosco nel linguaggio che parla, parametrato sempre ad educazione e cultura dell’interlocutore.
Ranieri spazia senza problemi dal vernacolo ai buoni sentimenti, senza mai apparire saccente od affabulatore.

E come accade nel cinema a tanti bravissimi attori, ha visto riconosciuti i propri meriti in tarda età.
Ma non è stato un riconoscimento alla carriera, bensì impresa leggendaria vincere la Premier League in una città di meno di 400000 abitanti.

Si incrociano oggi, brevemente e senza presumibile traccia, il suo cammino e quello della mia squadra del cuore.
Un’occasione buona per dirgli “ciao” e ringraziarlo per non essersi mai atteggiato a maestro.
Tanto che il fermo immagine che mi rimane impresso è quello dell’uscita dal Leicester con in mano una busta di plastica.

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Ciao allora mr. Dilly Ding Dilly Dong.
Breve e forse insignificante, ma per me è un vero piacere.

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Nato nel 1964, professione ortopedico. Curioso ma pigro. Ama svisceratamente Salerno e la Salernitana. Come sempre accade quando un amore è passionale, è sempre piuttosto critico nei confronti di entrambe.