Editoriale

Gli errori da non ripetere

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Fino a domenica sera, l’ipotesi più gettonata era la meno sensata di tutte. Si fosse verificata, la Salernitana avrebbe incarnato alla perfezione il concetto di paradosso. Con l’allenatore della stagione successiva scelto a marzo, la società si sarebbe preclusa la possibilità di rimandare la delicata decisione a fine campionato, quando molti club lasciano liberi i loro tecnici. Inoltre, sarebbe stato davvero illogico e singolare ingaggiare un direttore sportivo gradito a Inzaghi, invertendo il naturale processo di selezione delle figure dirigenziali e tecniche di una società.

Lasciando che la ragione guidasse le sue scelte, senza cedere all’impulso del momento come talvolta è accaduto, Danilo Iervolino ha mostrato saggezza. È un primo necessario passo per intraprendere una politica societaria differente da quella che ha caratterizzato lunghi momenti della sua presidenza, nel corso della quale sono stati commessi errori esiziali. Di seguito proviamo a ricostruirli per poi avanzare, con un approccio costruttivo, alcune proposte affinché, in futuro, tali errori non si ripetano più.

Ingerenze e incoerenze

Nella conferenza stampa di presentazione del 13 gennaio 2022, il presidente Iervolino annunciò che avrebbe «affidato totalmente il dominio del settore calcistico» a Walter Sabatini, che dal giorno seguente divenne il plenipotenziario di tutta l’area sportiva. Indipendentemente dall’esito del campionato, che arrise ai granata grazie alla bravura del dirigente umbro e a quel po’ di fortuna che aiuta gli audaci, la scelta del presidente si rivelò opportuna. Come in ogni settore industriale, anche nel calcio è necessario che le aziende siano guidate da persone esperte e competenti.

Al termine della stagione, Iervolino sostituì Sabatini con Morgan De Sanctis. Questa decisione apparve impropria non per il profilo scelto, ma perché De Sanctis è stato fin dal principio una figura debole, priva della necessaria autonomia nelle scelte di mercato e non solo. Gli esempi delle ingerenze societarie nell’operato del direttore sportivo sono molteplici: il rinnovo fatto sottoscrivere a Davide Nicola prima dell’ingaggio dello stesso De Sanctis, che sottrasse al d.s. la delicatissima scelta dell’allenatore, peraltro a lui non pienamente gradito; l’oneroso acquisto di Bonazzoli (4,5 milioni di cartellino e 2,8 milioni lordi all’anno per quattro anni, un salasso) contro il parere del d.s.; il ritiro in Turchia che De Sanctis dichiarò pubblicamente di non aver condiviso; la sostituzione di Paulo Sousa con un allenatore scelto dal presidente, Inzaghi, mentre De Sanctis premeva per altri profili.

Questo modus operandi è certificato dalle inopportune affermazioni del presidente del gennaio 2023, quando definì De Sanctis un mero «suggeritore». Parole che richiamavano le analoghe dichiarazioni rilasciate all’epoca della rottura con Sabatini: «Se io voglio un giocatore, lo compro. Mica poteva bocciare lui un mio acquisto. Questa è la Salernitana di Iervolino, non di Sabatini: lui proponeva e io decidevo». Il presidente si riferiva a Edinson Cavani, un potenziale colpo di mercato che Sabatini gli aveva fortemente sconsigliato.

Nell’anno e mezzo di De Sanctis, le intromissioni della proprietà nelle scelte di mercato (e non solo) sono state frequenti. Negli ultimi mesi molti osservatori, compresi noi da queste colonne, consigliarono al presidente di dotarsi di un direttore generale a cui attribuire la paternità della gestione sportiva. Il presidente raccolse il consiglio, ma soltanto sulla carta: affidò a Walter Sabatini la carica di direttore generale, carica che però è rimasta priva di significato in assenza di una struttura dirigenziale di cui il d.g. dovrebbe costituire il vertice. Sabatini, conscio delle sue condizioni di salute, invocò infatti l’ingaggio di un direttore sportivo che potesse costituire un tramite tra la società e la dirigenza da un lato e l’allenatore e la squadra dall’altro lato. Il profilo proposto era quello di Aleksandar Kolarov, un uomo di fiducia del direttore, che il presidente non ha ritenuto di inserire nell’organigramma.

L’impressione è che Danilo Iervolino non abbia in mente una strategia coerente nella conduzione della società. Dapprima affida l’area sportiva a un plenipotenziario, poi lo sostituisce con un dirigente dai poteri limitati, per poi rivolgersi nuovamente a una personalità forte che avoca a sé la gestione calcistica. Nei momenti di difficoltà si rifugia nelle personalità forti e competenti, mentre in tempi di vacche grasse appare più sensibile all’influenza di consiglieri esterni all’organigramma e agenti sportivi desiderosi di piazzare i loro assistiti.

Consigli non richiesti

Le società calcistiche che ottengono i migliori risultati, di solito, hanno una struttura dirigenziale articolata e con competenze ben definite. Se fossimo nei panni del presidente, imposteremmo la politica societaria seguendo poche ma precise indicazioni. In primo luogo, il presidente dovrebbe limitarsi a stabilire il budget, scegliere i manager e comunicare loro sia la politica strategica da perseguire (a nostro avviso, la più indicata per un club come la Salernitana è quella della valorizzazione dei giovani e della ricerca di corpose plusvalenze) che gli obiettivi da raggiungere nel medio periodo, valutandone di conseguenza l’operato. Pochi compiti, ma fondamentali.

La struttura dirigenziale ideale dovrebbe prevedere, a nostro avviso, due figure di vertice.

Sul lato amministrativo, un amministratore delegato che abbia piena contezza della situazione economica della società e che gestisca, attraverso la scelta di adeguate figure professionali, tutte le questioni extra-sportive: rapporti con le istituzioni e con la tifoseria, strutture, marketing, comunicazione, biglietteria. Su ognuno di questi campi, peraltro, la situazione non è rosea: il centro sportivo di proprietà è ancora un desiderio, il marketing è pressoché assente, la precedente responsabile della comunicazione non è stata sostituita, abbonamenti e biglietti sono tra i più cari d’Italia.

L’altra figura di vertice agirebbe sul versante tecnico in qualità di unico e solo responsabile dell’area sportiva. Un direttore generale con poteri ampi e definiti: selezione degli allenatori; costruzione della squadra nei limiti del budget stanziato dalla proprietà; rapporti con i dirigenti a lui sottoposti, con l’allenatore e con la squadra; supervisione del settore giovanile. In parole semplici: il presidente e i suoi consiglieri, interni o esterni al club, non dovrebbero interferire nella costruzione della squadra e nella scelta dei responsabili tecnici.

Il direttore generale dovrebbe costituire l’apice di un organigramma composto almeno da due rilevanti figure. La prima: un direttore sportivo che conduca le trattative di mercato di concerto con il direttore generale e che, soprattutto, operi da uomo di campo, da interfaccia tra società e tecnico. La seconda figura: un responsabile del settore giovanile di comprovata esperienza nel campo a cui affidare la gestione di questo delicato settore. Stefano Colantuono è un valido allenatore di prime squadre, ma per costruire un vivaio che manca dai tempi di Aliberti sarebbe stato più saggio rivolgersi a un profilo che Sabatini caldeggiò poco dopo il suo arrivo nel 2022, quello di Giuseppe Geria, o comunque a personalità di analoga competenza.

È importante, infine, che la società non commetta più l’errore di fissare l’asticella degli obiettivi troppo in alto. Le dichiarazioni del passato del presidente Iervolino e dell’avvocato Fimmanò, secondo i quali la Salernitana avrebbe presto lottato per l’Europa, apparivano incomprensibili all’epoca e lasciano tuttora, con la squadra quasi in Serie B, una punta d’amarezza. Il presupposto di una visione così ottimistica era all’incirca il seguente: la proprietà può stanziare un budget elevato che, unito all’ambizione del presidente, consentirà di raggiungere risultati lusinghieri.

Walter Sabatini ci aveva visto lungo: poco dopo la risoluzione del contratto, in merito alla trattativa per Cavani lasciò intendere che la Salernitana avrebbe fatto bene a intraprendere una politica dei piccoli passi, acquistando giovani calciatori da poter rivendere per finanziare le successive campagne acquisti anziché inseguire calciatori che non avrebbero mai accettato Salerno con la necessaria motivazione. La Salernitana, in questi anni, grazie ai corposi ingaggi che ha concesso ha potuto acquistare molti calciatori che, ben presto, hanno manifestato il desiderio di trasferirsi in squadre più gloriose, contribuendo a infiammare lo spogliatoio.

Gli errori commessi dalla proprietà hanno contribuito a condurre la Salernitana a un metro dalla Serie B. Il campionato cadetto, per una società gravata da altissimi costi, sarà un bagno di sangue. Anche per questa ragione, il presidente dovrebbe intraprendere una strategia societaria più razionale, attribuendo responsabilità specifiche a figure manageriali esperte del pianeta calcio, evitando di ascoltare i suggerimenti di consiglieri interessati, legittimamente, al loro tornaconto e non certo al bene del club. È in gioco il futuro della Salernitana, ma anche una parte del cospicuo patrimonio personale del presidente, che pur avendo investito più denaro rispetto alle concorrenti per la salvezza si ritrova a guidare una società avviata alla Serie B.

Marco Giannatiempo

Autore del podcast settimanale "Agostino": https://shorturl.at/hyZ01

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