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L’integralismo di Nicola non aiuta la Salernitana. Un occhio alle residue speranze, l’altro cerchi il futuro

La squadra si è proposta con un modulo tattico diverso, ma la scelta degli uomini e la ripetitività del copione offensivo hanno lasciato più di una perplessità. Il temperamentale tecnico granata, oltre ad affidarsi alle doti acrobatiche del generoso Djuric, provi a coinvolgere mezzali d'inserimento e fantasisti all'interno di una strategia offensiva più articolata.

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In un’ipotetica tabella salvezza stilata ai primordi del ‘progetto sopravvivenza’ targato Iervolino-Sabatini, una prima robusta sterzata dei granata sarebbe dovuta arrivare dalle quattro gare casalinghe contro Spezia, Bologna, Sassuolo e Torino, anche per neutralizzare le inevitabili difficoltà da affrontare e patire contro Milan, Inter e Juventus. La sterzata purtroppo non c’è stata, nonostante il pari contro il capolista Milan, perché il suddetto poker di gare ha aggiunto solo tre miseri punticini ad una graduatoria severamente anemica.

Troppo pochi per sperare di inoltrarsi nella fase finale del torneo con un bagaglio di convinzione e autostima in grado di trainare il gruppo e una tifoseria mai doma. Il ko contro i granata piemontesi, inutile pure sottolinearlo, rappresenta una mazzata difficile da gestire psicologicamente alla ripresa dei lavori settimanali. La matematica, in attesa dei risultati di Cagliari e Genoa, concede ancora qualche spiraglio, però la fessura si restringe sempre di più e lo sguardo immalinconito riesce solo ad intravedere un’altra partita, allo stadio Olimpico contro la Roma, che non è esattamente un’iniezione di fiducia.

Nove appuntamenti sono ancora tanti e, al di là della fondatezza delle residue chance di salvare la massima serie, la Salernitana dovrà ricompattarsi in fretta e provare a terminare dignitosamente una stagione resa proibitiva, in primis, dalla vergognosa gestione iniziale propinata dall’ex proprietà capitolina.

L’avvento di Iervolino e Sabatini ha riportato entusiasmo in città, soprattutto in ottica futura, ma la strategia tecnica finalizzata a recuperare il terreno perduto, pressata dalla fretta di rendere competitiva la squadra in un breve lasso temporale, non è stata al momento premiata dal campo.

La bontà di alcune operazioni prospettiche di mercato è oggettiva, perché Ederson, Bohinen, Mazzocchi, Sepe e lo stesso Mikael sono elementi sui quali si può immaginare di costruire un progetto calcistico ambizioso, anche ripartendo dal campionato cadetto. Meno fortunata è stata la ricerca degli interpreti che avrebbero dovuto conferire all’organico esperienza, carisma, qualità tecnica e concretezza.

Il cambio in panchina di Nicola al posto di Colantuono, al di là della carica emotiva trasmessa al gruppo dall’ex trainer del Crotone, non è riuscito, per ora, in termini di risultati, ad imprimere l’auspicata svolta.

Dal punto di vista tecnico-tattico, la squadra, pur modificando la formula strategica di partenza – un 3-4-2-1 con Verdi e Bonazzoli alle spalle di Djuric – ha mostrato il consueto temperamento, ma anche le solite incertezze difensive che tanti punti hanno lasciato per strada, oltre ad un canovaccio offensivo che raramente deraglia dall’ostinata ricerca di alimentare le doti acrobatiche di Milan Djuric.

Più di una perplessità ha lasciato la difesa a tre, soprattutto per la scarsa eterogeneità del pacchetto di centrali (Radovanovic e Fazio insieme non sembrano il massimo della compatibilità). Il Torino giocava con il mobile Belotti e due trequartisti, Lukic e Pjaca, che davano pochi riferimenti ai difensori di Nicola. In alcune fasi del primo tempo, infatti, si è notata chiaramente la difficoltà di Fazio nel suo faticoso tentativo di districarsi tra i movimenti senza palla di Lukic ed un Belotti che andava quasi a cercarlo lasciando la posizione centrale. Stesso discorso sul versante opposto, con Gyomber che era sempre un po’ titubante sul da farsi, dimenandosi tra la necessità di non smarrire la densità difensiva e quella di accorciare sul defilato Pjaca.

I due trequartisti del Torino, inoltre, si abbassavano sulla linea mediana e con Ricci e Mandragora davano vita ad una netta superiorità numerica che si tramutava in una circolazione di palla veloce che faceva correre spesso a vuoto la mediana salernitana. Gli ospiti, a tratti troppo leziosi nel loro gioco ruminato ed un po’ spuntato, non sono riusciti ad approfittarne, se non guadagnando il rigore decisivo trasformato da Belotti che, pochi minuti più tardi, favorito da un altro rinvio maldestro dell’argentino ex Roma, ha fallito la facile opportunità del due a zero.

In fase offensiva, gli uomini di Nicola, seppur disposti diversamente rispetto alle precedenti partite, hanno sostanzialmente conservato il profilo di sempre: ricerca ossessiva delle fasce (soprattutto a destra con Mazzocchi, mentre a sinistra ha fatto bene Ruggeri nei pochi minuti giocati, poco ficcante Zortea che non è mai riuscito a sfondare) e produzione generosa di cross e lanci centrali per la testa di Milan Djuric.

Con sporadiche variazioni sul tema (un paio di inserimenti di Ederson ed un Verdi più libero, nel primo tempo, di svariare nella trequarti torinista), frutto più di iniziative individuali che figlie di una strategia calcistica varia ed imprevedibile. Un interrogativo sorge spontaneo: avendo in organico centrocampisti abili negli inserimenti (Ederson e Bohinen), fantasisti tecnicamente dotati e abili tra le linee (Verdi, Ribery, Bonazzoli), non sarebbe il caso di coinvolgerli maggiormente con una manovra corale fatta di fraseggi e movimenti senza palla, invece di cercare sempre e comunque i centimetri del generoso e indomito centravanti bosniaco? Prima della conclusione della stagione riusciremo a vedere qualcosa di diverso?