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Splendori e miserie degli allenatori

Splendori e miserie degli allenatori. Perché cambiare un allenatore e perché no.

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Prima della partita con il Genoa, prima dell’ultima spiaggia, vorrei porre una questione che riguarda Stefano Colantuono. Uno che l’ultima volta che aveva allenato in serie A, non c’era il VAR. Uno che non scalda il cuore a chi sogna di vedere un calcio moderno, spettacolare.
Il vero problema è stabilire le aspettative che abbiamo sul suo sostituto e quale profilo staremmo aspettando. Un rivoluzionario? Un riformatore? Un ottimizzatore?
Il rivoluzionario rientra nella tipologia del nuovo Delio Rossi o, per non rimuginare sempre sul nostro passato, del nuovo De Zerbi, del nuovo Dionisi. É uno che porta novità, uno a cui dare fiducia, uno con cui mettere in conto tempi di rodaggio più lunghi.

Con lui va aperto un credito su richieste di calciatori sperimentali, di nomi, magari, non altisonanti. Si tratta, nel caso del rivoluzionario, di una figura che richiede una premessa: la conferma di Walter Sabatini. Cioè di un Direttore Sportivo solido, credibile, che sappia di calcio, che sia capace di scovare talenti. Si tratta anche di una tipologia di allenatore a cui pensare appena, malauguratamente, le cose dovessero andar male quest’anno.
Lo stesso vale per il riformatore. Il profilo è quello di un Pirlo, di un Gattuso, di un Inzaghi. Cioè di un usato più o meno sicuro con cui tentare di avere tutto e subito. Uno con cui provare a ripetere quello che accadde a Benevento: discesa in serie B e risalita immediata. Anche in questo caso, convincere questa tipologia di allenatore richiede altissima credibilità societaria: si tratta di gente ambiziosa, che potrebbe storcere il naso davanti a progetti del genere. C’è bisogno, ancora una volta, di un Direttore Sportivo che possa fare da garante. Sempre nell’ipotesi che le cose andassero male, si dovrebbe pianificare da subito.

E se Sabatini e Iervolino dovessero decidere: “É stato bello, ma restiamo amici”, ci sarebbe da lavorare adesso per quando sarà.


L’ottimizzatore è l’allenatore di buon senso. É quello che ha esperienza, che sa mettere in campo la squadra. É uno che non fa voli pindarici e che bada al sodo. Sopratutto, è uno che sa motivare un gruppo, sa tenerlo sulla corda, sa come ottimizzare risorse, come non far demoralizzare chi parte dalla panchina, che sa gestire tensioni e capricci. Ma sopratutto, che sa fare tutto questo alla velocità della luce. Perché, a Salerno, il tempo sta scadendo. Fra gli allenatori liberi c’è un nome che ha il curriculum giusto: Davide Nicola.

É un esperto in salvezze impossibili, è un motivatore, potrebbe essere un buon compromesso se si dovesse ripartire da lui l’anno prossimo. Al di fuori di questa ipotesi, siamo sicuri che la testa di Colantuono sia la soluzione migliore? Sicuro che i nomi che girano, magari sono specchietti da allodole e quindi questa considerazione non vale, fanno la differenza?
Le critiche a Colantuono dopo la partita contro lo Spezia sono critiche giuste, ma troppo severe. Lo Spezia giocava per due risultati su tre, nelle ultime cinque partite ha avuto un ruolino di marcia da Europa League. Chi è andato in campo per la Salernitana aveva due o tre allenamenti sulle spalle. La squadra era rinnovata a tal punto che spesso non ci sono così tanti calciatori che si incontrano per la prima volta su un campo da calcio nemmeno nelle partitelle durante i ritiri estivi.
Colantuono paga lo scotto di essere il simbolo di un tempo che, a Salerno, molti si augurano che non torni più. Però di tutte le partite in cui è stato in panchina, ne ha grossolanamente sbagliata una: quella con l’Empoli. Ed è legittimo che, all’esordio, un allenatore provi a verificare le sue idee, faccia i suoi errori, sperimenti quello che ritiene.
Per il resto, i punti deboli di Colantuono sono stati un problema e una colpa. Il problema è che ha avuto materiale pressoché impossibile da plasmare. La colpa è stata di aver accettato di salire su una barca che non poteva che andare a picco e di far finta di credere ad allucinazioni calcistiche che la Società spacciava per grandi campioni. Ma noi tifosi abbiamo venduto l’anima al Diavolo in serie D pur di avere garanzie di tornare a respirare. Salvo poi stupircene quando i nodi sono arrivati al pettine. Vogliamo farne davvero una colpa al buon Colantuono?
Contro lo Spezia abbiamo visto tre passaggi di fila, nelle precedenti partite non li avevamo mai visti. Contro lo Spezia abbiamo visto calciatori che sapevano cosa fare con il pallone fra i piedi, prima non li avevamo mai visti. Contro lo Spezia abbiamo rivissuto sentimenti come speranza, aspettativa, possibilità. Li avevamo dimenticati.
A parte la scelleratezza dei due rigori, nessun paragone è possibile con quello che è stato fin qui. Quanto alle famigerate sostituzioni, sempre contro lo Spezia: sono state sfortunate, non irragionevoli. E se il non troppo celato sospetto è che Sabatini ci metta più di una parolina nel concordare con Colantuono chi va in campo, abbiamo solo da sperare che questo binomio funzioni per bene.
Non c’è il tempo per cambi azzardati. Non c’è il tempo per un terzo allenatore, per un compromesso che poi potremmo ritrovarci, senza entusiasmo, anche il prossimo anno. L’inerzia emotiva, la scossa dopo il cambio della panchina, dura per una partita, forse due. Poi finisce.
Cambiare avrebbe senso per portare a Salerno qualcuno che abbia spalle larghe, ma così larghe da garantire una differenza gigantesca rispetto allo stato delle cose. Qualcuno che sia velocissimo a capire chi c’è, chi è motivato e chi meno, quali sono le alternative tattiche attuali, quali valori tecnici sono disponibili. É quello che si chiede adesso a Colantuono: essere rapido, capitalizzare nel più breve tempo possibile un gruppo, che ci fa sperare ma che è ancora da verificare, messo a disposizione dalla Società. Se questo lavoro non dovesse farlo lui, dovrebbe farlo uno che ha meno tempo di lui, che non conosce la piazza come lui, che dovrebbe imparare a conoscere i nuovi, come lui, ma pure quelli che c’erano prima e che, per chi arriverebbe, sarebbero ugualmente nuovi. Questo sarebbe un lavoro per un fuoriclasse. Sicuro che un fuoriclasse, in questo momento, voglia farsi carico di un’impresa così visionaria?
Sarà una sofferenza, al 93% non ce la faremo, ma se questo fuoriclasse non c’è, lavoriamo con quello che abbiamo e giochiamoci questo 7% nel modo più spericolato, temerario, sfacciato possibile.