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Il circolo virtuoso, l’angelo dalla faccia sporca e il sorriso sornione di Ochoa

La Salernitana vista all'opera a Lecce è squadra con ampi margini di crescita. Le sofferenze patite recentemente dal gruppo serviranno da lezione per il futuro. La missione risiede nel far emergere potenzialità tecniche indiscusse e facilitare un più saggio approccio al modo di vivere il calcio in una città ribollente di passione qual è Salerno.

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Nicolussi Caviglia
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La premessa è d’obbligo: ritenere che tutti i problemi siano stati messi alle spalle, sarebbe il modo peggiore e più rapido per ripiombare in fretta all’inferno.

Perché il match di ieri, con le sue giocate di ottima fattura ed anche i suoi errori procurati dalle abilità altrui, è figlio soprattutto della sofferenza crescente attraversata da un gruppo che, ad un passo dal baratro, ha saputo compattarsi orgogliosamente, rispolverare le sue antiche qualità, ridimensionarsi con umiltà e conquistare tre punti di importanza capitale.

Il passato dovrà continuare ad essere insegnante insostituibile. Per evitare leggerezze superficiali, indolenze irritanti e le presunzioni di non sentirsi minimamenti scalfiti dalla preoccupazione di essere risucchiati nella bagarre per centrare la permanenza in serie A, l’unico, reale obiettivo della stagione.

L’exploit in terra salentina, se ancora ce ne fosse bisogno, ha ribadito le leggi ultrasecolari del calcio, dalle quali non è possibile allontanarsi se si vuol procedere consapevolmente verso il traguardo.

Innanzitutto, la fondamentale necessità di affrontare le contese supportati dal mantra di un team che si muova sinergicamente, accantonando immediatamente le velleità individuali già proiettate in un’egoistica prospettiva futura.

Si scresce singolarmente se il contesto in cui si opera è ben oliato e le undici funzioni degli interpreti sono finalizzate a rendere produttiva la prestazione collettiva.

La corsa ed il movimento coordinato, il pensiero unico dell’attento presidio degli spazi, il sacrificio e la fatica del compagno da assecondare per preservare compattezza ed energie psicofisiche da spendere oculatamente nell’arco di una partita, il gesto tecnico del singolo per esaltare il lavoro pianificato in settimana e realizzato sul terreno di gioco. Tutto questo vuol dire essere squadra, che ha ben chiari pregi e difetti, punti di forza da coltivare e limiti su cui lavorare per ridurre le difficoltà da gestire nel cammino che resta da compiere.

Ieri la Salernitana, partendo dallo staff tecnico fino ad arrivare all’ultimo calciatore della rosa, ha manifestato la volontà di consegnare il suo prosieguo di stagione ai principi calcistici e morali appena elencati. Se la squadra riuscirà a conservare intensità, entusiasmo, umiltà, intraprendenza ragionata che non sfoci in spavalderia nociva e fine a se stessa, volontà di cooperare a tutti i livelli, i benefici da raccogliere ai principi di giugno premieranno tutti.

La società che avrà raccolto i frutti degli importanti investimenti effettuati. Il mister che avrà ritrovato quel pragmatismo intriso di combattività che ha caratterizzato e valorizzato le tante imprese compiute in passato. Il direttore sportivo che, dopo esser stato frettolosamente bollato come uno spendaccione incompetente, tirerà le somme e si accorgerà, probabilmente, che il valore restituito dai giocatori ingaggiati sarà forse raddoppiato. I calciatori che saranno gratificati da una riconferma all’interno di un progetto più ambizioso o corteggiati dalle alte sfere pallonare. I tifosi che avranno familiarizzato ancora di più con le difficoltà del maggiore campionato italiano e troveranno soddisfazione e fondate speranze nel valutare una pianificazione calcistica che cresca gradualmente.

Esistono i circoli viziosi e quelli virtuosi. Nei primi ci si macera con polemiche, inimicizie, cattiverie gratuite, borie che indispettiscono, individualismi prevaricanti, azioni che mostrano una frenetica e inconsapevole navigazione a vista. Nei secondi, invece, ci si lascia accompagnare dalla lealtà, dalla discussione animata ma sempre costruttiva, dalla professionale cura del dettaglio, dall’essere esigenti prima con se stessi e poi con i colleghi, dal sentirsi convintamente partecipi di un disegno comune che voglia stupire.

La Salernitana, ce lo auguriamo ardentemente, al ‘Via del Mare’ di Lecce ha forse mosso il suo primo passo verso il più salubre e redditizio circolo virtuoso. Che non vuol dire entrare in un bucolico scenario da ‘mulino bianco’, ma procedere serenamente, nonostante le sconfitte e le delusioni che arriveranno, su un terreno disseminato di collaborazione tra tutte le componenti, di certosino e paziente lavoro, di capacità nel costruire un gruppo coriaceo che mai si abbatte e trova sempre la forza di compattarsi per superare le difficoltà e raggiungere il risultato atteso da tutti.

A Lecce abbiamo visto una squadra che ha giocato sempre sui riferimenti avversari, ma lo ha fatto in maniera diversa, compattandosi ai propri trenta metri, portando un pressing ragionato, senza mai sfaldarsi alle spalle, alternando difesa ad oltranza, ripartenze ficcanti e palleggio teso a fiaccare il forcing leccese.

A fare la differenza è stata la consapevolezza di dover soffrire e lottare centimetro su centimetro, secondo dopo secondo, di doversi sacrificare anche per il compagno, rispettando sempre i valori tecnici espressi dai dirimpettai. Mai abbiamo visto scriteriati assalti all’arma bianca, voragini sfruttate dai calciatori giallorossi, sottovalutazioni dei rischi e pigrizie devastanti, come quelle registrate a Sassuolo, Monza e Bergamo.

I granata hanno affrontato il match con la consapevolezza dei propri mezzi, sempre pronti a ripartire per colpire, mai dimenticando però la collaudata pericolosità dell’orchestra pugliese diretta da Baroni. In diversi frangenti della gara, Candreva e Dia hanno giocato in linea con il quartetto difensivo, consentendo a Sambia e Bradaric di aumentare la densità centrale; il tutto racchiuso in una sorta di 6-3-1 che ha notevolmente ridotto l’effervescenza del 4-3-3 pugliese.

L’innesto di Troost Ekong ha conferito fisicità, esperienza e letture tattiche al pacchetto arretrato.

Sambia e Bradaric, inseriti in un contesto tattico più accorto e ordinato, hanno fatto intravedere doti che potrebbero spazzare via le tante spietate ironie subite nel recente passato.

Dia ha confermato, ancora una volta, di essere un calciatore di primissima fascia, sotto tutti i punti di vista: tecnicamente sublime, atleticamente incontenibile, di un’intelligenza tattica superiore alla media, umile e temperamentale nel garantire una fase difensiva superba.

Nicolussi Caviglia è un angelo con la faccia sporca: non fa sconti a nessuno, il suo obiettivo è demolire calcisticamente l’avversario, con le buone e le cattive, oltre ad essere decisamente attrezzato sul piano tecnico.

Il volume delle prestazioni di Piatek è impressionante: si muove senza soluzione di continuità sull’intero fronte offensivo, subisce e distribuisce randellate, punta la porta, fa salire la squadra, sempre un osso duro nel gioco aereo. Mancano i gol? Arriveranno e non saranno pochi.

Cernigoj ha giocato mezzora, entrando in campo con l’elmetto già bucherellato di chi conosce la guerra pallonara.

Vilhena, sul cui talento nessuno ha mai avuto dubbi, sta capendo che il calcio italiano impone anche disciplina tattica e continuità della concentrazione mentale.

Il sorriso sornione di Ochoa a fine partita è già un indizio incoraggiante.