No non è un documovie.
No non è un film.
È un manifesto.
Di come siamo stati, di quello che eravamo di come eravamo.
Perché Francesco Totti è uno di noi. Perché Francesco potrebbe essere uno di noi. Il figlio del vicino di casa, il fidanzato della barista carina all’angolo, il magazziniere del tuo ufficio che ha svoltato.
Poi come tutti gli eroi chiude la porta e se ne va.
Diventa Francesco. Diventa umano. Scende dal monumento che gli hanno costruito e ritorna nel quartiere.
Ma come tutti gli eroi prima di andare via deve fare il sacrificio.

Deve liberare sé stesso deve spogliarsi dello status di nobile.
Non ci so’ cazzi. Gli eroi non sono bionici. Sono fatti di carne e sangue.
Sono creati e costruiti da qualcuno che lassù decide di donare un talento: una forza mentale fisica tecnica che fa rendere tutto più facile.
– Quello delle magliette –
Il signore lassù sapeva cosa fare quando dava questo super potere. Al numero 23 dei Chicago Bulls, al numero 8 dei Lakers, al numero 33 dei Boston Celtics, a quello svedese che con il rovescio ci sapeva fare.
E poi decise di cucire anche una per il calcio: la numero 10 della Roma.
Ma nel film viene raccontato poco dell’aspetto da supereroe. In quella chiacchierata fatta in quella sala doppiaggio tra Totti e Alex Infascelli.
Totti si sveste di quella maglietta e torna ad essere AFRANCE’ il ragazzo di porta Metronia che gioca alle paparelle e sta lì con un amico a raccontare delle cose che difficilmente ci hanno fatto vedere di lui.
Il ragazzino emozionato con la divisa della nazionale u21. Quello che viene sostituito durante una partita della primavera e che esce incazzato e poi si pietrifica perché gli dicono che doveva andare a giocare con i grandi.
E da grande capisce che se vuole cercare e ottenere qualcosa d’importante ruba le parole i gesti e il tempo a due che di calcio e di vita ne hanno vista e messa insieme.
Er sor Magara Mazzone e Sdengo Zeman.

Con loro due la maglia numero 10 può anche non indossarla. Perché ha l’intelligenza di capire che loro sono fatti di una materia che va oltre i superpoteri
Quello di restare umani in un mondo di pupazzi.
E poi quel gol al Parma, il regalo alla sua gente.
In realtà a tutti quelli che passano le ore a vedere il calcio, leggerlo, commentarlo, sentire il profumo dell’erba e meravigliarsi ogni volta che le squadre entrano in campo.
E poi la sua famiglia tanta troppa che gli ha dato la forza, che l’ha protetto quando era debole e gli ha dato coraggio.

E se non hai una famiglia che gioca con te rischi di andare a fare la fine di uno che si presentò con un giubbino con il pellicciotto a Madrid.
Tutto troppo perfetto. Se non fosse per lui:
– Il diavolo che viene da Certaldo –

Come quei colleghi o quei compagni di scuola malignetti che decidono che non servi più. Che la ribalta è sua e Francesco doveva andarsene in silenzio.
E lui gli risponde da Totti:
E poi Vito Scala.
Dove ti giri lo trovi li a meno di un metro da Totti.

In sala operatoria quando sembrava tutto finito.
E lo trovi anche dopo a Berlino.
Lo trovi quando gli passa l’ultima bottiglietta d’acqua poco prima di uscire per meritarsi l’ultimo boato.
– Quando un campione resta solo –
Ecco dove merita l’Oscar questo film. Quei dieci minuti finali da quando rientra dagli spogliatoi e si siede con il fiatone su alcuni gradini.
Fuori, lo stadio è una valle di lacrime perché quello stadio sa che sta per compiersi l’ultima prodezza.
L’eroe che consegna quella maglia magica a chi gliel’ha data per conservarla nel cassetto insieme a quella di Michael, Larry, Kobe e John .
Un’ultima cosa: quando ho saputo che Alex Infascelli sarebbe stato il regista di questo film mi sono detto.
Vabbuò esce un capolavoro. Perché lui non HA voluto essere di culto ma di nicchia percorrendo strade difficili (se non l’avete visto c’è un film sulle sette sataniche con Bentivoglio) o questa cosa qui.
Ecco così impara: mi sa che dovrà farsi un viaggetto e tornare a Los Angeles.
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