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Il marinaio di Setúbal

Arrogante, antipatico, furbastro. Ecco perché a Mourinho bisogna voler bene.

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il marinaio di Setúbal
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«Sognavo di un marinaio che si era perduto in un’isola lontana…In quell’isola c’erano poche rigide palme e fuggevoli uccelli volavano tra di esse… Da quando, scampando a un naufragio, vi era approdato, il marinaio viveva in quel luogo… Poiché non aveva modo di tornare in patria, e soffriva troppo ogni volta che il ricordo di essa lo assaliva, si mise a sognare una patria che non aveva mai avuto.»

Fernando Pessoa – O marinhero. Drama estático em um quadro

Ci sono molti modi per solcare il mare, ma il mare ha un solo modo: ti cambia la genetica. Tale il mare, quale il marinaio. Un portoghese ha sempre il colorito bronzeo, ride con la piega estrema delle labbra, non si preoccupa di essere imbrogliato, lo sta facendo lui per primo. O meglio, qua la pezza qua il sapone, poche smancerie, buonismo, voglia di piacere. È business, non una storia d’amore.

Abituato agli insulti o all’idolatria —nel calcio si rincorrono a loop— è molto probabile che José Mário dos Santos Mourinho Félix —per brevità da qui in poi chiamato José Mourinho, per piaggeria e semplicismo evocato come Special One— sia poco abituato a segnali di identificazione. Ebbene, chi scrive a questo signore vuol bene. Un bene, lo dicevo, che non conosce abbracci e pacche sulle spalle. Piuttosto, trova forma negli insulti reciproci e motti salaci che i veri amici si scambiano.

Sfila, da sempre, gli schiaffi da mano. A quelli che si trova di fronte, a quelli che gli marciano dietro. Come moderno capitano di ventura, si fa pagare. E paga, ché da dieci anni la carriera è discendente —come può esserlo la carriera  di un top coach, nell’inevitabile regola che non si può stare sempre in cima al mondo—. E anche in questa primissima e particolare prima fase romana sembra non contarla giusta.

Intollerante, si vede benissimo anche da qui. Magari lo era anche quando da ragazzo —il calciatore è pressoché non pervenuto— da allenatore tutto sommato sconosciuto prese il posto di interprete per Bobby Robson che allenava lo Sporting Lisbona.

Jose Mourinho Translating For Bobby Robson At Barcelona

Furbastro, come quando a Barcellona —dove aveva seguito il coach inglese— si fece dare il megafono dopo la vittoria in coppa di Spagna urlando: “Oggi, domani e sempre con il Barça nel cuore”. 

Poi venne Van Gaal, poi il resto.

Inutile (ri)raccontarlo.

Perché voler bene ad uno così? Ah, potrei farvi (ri)vedere questo scontro al vertice tra odiosi.

Vincerei facile. In realtà, arrogante, antipatico, furbastro, potrei dire che bisognerebbe volergli bene perché Mourinho rimanda l’immagine riflessa ed amplificata di quello che saremmo se ne avessimo l’opportunità. Ma, tra i buoni veri ed i non onesti intellettuali, troppi ne dovrei tagliar fuori.

Il punto è un altro.

«So you can put the blame on Mou, put the blame on Mou… »

Allo Special One —contenti?— bisognerebbe voler bene perché si schiera a baluardo della truppa in faccia al mondo.

Da arrogante, antipatico, furbastro, soprattutto furbastro. Con il sospetto che lo farebbe anche gratis. Come cantava Rita Hayworth in “Gilda”, se qualcosa va male a Mourinho puoi sempre dare la colpa.

Se lo si capisce, si può volergli bene, e contemporaneamente coprirlo di insulti.

Avendone i “tituli”, eh.

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Nato nel 1964, professione ortopedico. Curioso ma pigro. Ama svisceratamente Salerno e la Salernitana. Come sempre accade quando un amore è passionale, è sempre piuttosto critico nei confronti di entrambe.