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La sbornia delle effimere esaltazioni lasci spazio ad una salvezza da costruire faticosamente.

I granata, raggiunto il pari e consapevoli di aver poco altro da spendere sul piano fisico e mentale, non si sono accontentati, prestando il fianco alle ripartenze di un Lecce più tonico e imprevedibile nelle azioni di rimessa. Un punto avrebbe tenuto a distanza i salentini e rinforzato ulteriormente la classifica. Perché forzare velleitariamente le evidenze del terreno di gioco?

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Se avessimo potuto scegliere il momento giusto per tirare una linea, riordinare i pensieri e tracciare le coordinate da seguire per il futuro, la conclusione di questo settimo turno, che anticipa la sosta per gli impegni delle Nazionali, sarebbe stato quello ideale.

Al di là del risultato interamente negativo maturato contro il Lecce (il pari non avrebbe modificato i contenuti da analizzare), il campo, che resta supremo giudice di questo sport, avrebbe suggerito all’intero universo granata di ritrovare in fretta la dimensione che gli appartiene e riporre nel cassetto la sbornia di parole e voli pindarici che aveva preceduto la trasferta in casa della Juventus e, soprattutto, accompagnato la lunga vigilia del match contro i salentini di Barone.

Perdere a domicilio uno scontro salvezza importante contro una pari livello non può essere una notizia che regala letizia calcistica alla squadra e ai tifosi; evitare di drammatizzare il peso della sconfitta è altrettanto doveroso. A patto che da essa si riparta per rivisitare obiettivi, esternazioni infrasettimanali, appagamenti e pressioni ingiustificabili e autolesionistici.

Le gare interne contro Empoli e Lecce, sulla carta due scontri diretti in ottica salvezza, hanno portato in dote un misero punticino. La stessa partita contro la Juve, terminata con il doppio vantaggio alla fine dei primi quarantacinque minuti, ha rischiato seriamente di essere archiviata in compagnia delle classiche pive nel sacco.

Pertanto, pur conservando fiducia ed entusiasmo nei confronti di un organico ottimamente allestito dalla proprietà e dal direttore sportivo De Sanctis e ben allenato da Davide Nicola, è il caso di familiarizzare immediatamente con la certezza che il secondo torneo consecutivo di serie A impregnerà di sudore magliette, pantaloncini e calzettoni, bandiere e sciarpe, prima di conquistare semplicemente una tranquilla permanenza in massima serie. Cha sarà accolta da tutti, a tempo debito, con estrema soddisfazione.

Atteggiamento mentale decisamente più saggio rispetto ai destabilizzanti e stucchevoli ragionamenti sulla zona sinistra della graduatoria alla portata dell’Ippocampo.

Fughe in avanti che allontanano da un sano e costruttivo realismo, cagionando cocenti delusioni e iniettando venefica frustrazione e carenza di autostima dopo ogni possibile passo falso registrato lungo il cammino.

La Salernitana vista all’opera contro il Lecce è parsa una squadra esageratamente contratta e nervosa, stanca dal punto di vista mentale e fisico in diverse fasi del match.

Ci può stare nel calcio, soprattutto se l’avversario ti rende ancora più difficile la serata, però è quantomeno anomalo che queste criticità emergano ad inizio stagione, dopo aver raggranellato sette punti in sei partite e compiuto una piccola impresa nello stadio della compagine più titolata del calcio italiano.

Più logico attendersi una leggerezza psicologica che ti aiuti a giocare meglio e con maggiore scioltezza. Tensione procurata da aspettative troppo alte? Intensità fisica ed emotiva portata a livelli elevatissimi nel corso della settimana, al punto da lasciarti parzialmente scarico quando scendi in campo? Non lo sapremo mai e forse non è neppure importante saperlo.

Ciò che conta è che il gruppo dimentichi in fretta lo scivolone casalingo e, supportato dalla presenza costante e discreta della società, riparta con l’umiltà e la voglia di stupire esibite serenamente nel primissimo segmento stagionale. Tenendosi lontano dalle visionarie fantasie di prematuri espansionismi pallonari che pulsano nei più disparati covi del tifo cittadino.

C’è una salvezza da costruire con pazienza e fatica, sudore e spirito di sacrificio, umiltà e concentrazione. Tempo per dissipazioni da cicale oziose non è concesso. Neanche alle big di questo campionato, a maggior ragione ad una squadra come la Salernitana, reduce da anni di precarietà ed amarezze.

La partita. I granata, schierati con il consueto 3 5 2, non sono partiti male, anche se la loro azione offensiva è sembrata monotematica nella ricerca dello sfondamento a destra sull’asse Candreva-Coulibaly, mentre a sinistra lo spento Vilhena non ha mai supportato un Mazzocchi meno brillante del solito. Le punte, scarsamente appoggiate dal centrocampo, si sono dimenate in lungo e in largo ma hanno faticato tremendamente contro la pugnace barriera difensiva eretta da Baschirotto e compagni. Mazzocchi, pescato da un preciso traversone di Candreva, ha sprecato una ghiotta opportunità colpendo male il pallone di testa; poi, per il resto dei primi quarantacinque minuti, la squadra non ha prodotto nulla di significativo.

Più organico e lineare lo spartito tattico del Lecce, sempre insidioso nelle repentine verticalizzazioni affidate ai vivaci Banda e Ceesay, ma anche compatto nel distendersi in avanti grazie alla regia di un lucido Hjulmand, alle sovrapposizioni dei terzini e agli inserimenti tra le linee delle mezzali. Tante le occasioni favorevoli per gli avanti giallorossi, che hanno realizzato un solo gol (Ceesay) ma avrebbero potuto chiudere la prima metà di match con un vantaggio più corposo.

Nel secondo tempo, Nicola ha schierato i suoi uomini con un 4 4 2 estremamente flessibile, una sorta di 4 1 3 2, con Mazzocchi e Bradaric terzini, Daniliuc e Bronn difensori centrali, Maggiore davanti alla difesa, Candreva, Kastanos e Vilhena a muoversi senza palla tra le linee salentine e a sostegno delle punte Piatek e Dia. I padroni di casa hanno disputato un buon quarto d’ora, creando densità e situazioni offensive meno scontate nella metà campo giallorossa. Un’impostazione tattica resa efficace anche dalle reattive coperture preventive dei difensori centrali. Un buon impatto, con Piatek autore di un ottimo tiro ad incrociare respinto da Falcone e una pressione che ha trovato gli sperati frutti nella goffa autorete di Gonzales.

Perché la Salernitana ha perso la partita, dopo averla rimessa sul giusto binario? Perché, esaurite le risorse fisiche e mentali spese nel primo terzo abbondante della seconda frazione di gioco, invece di osservare una condotta di gara lucida e priva di frenesia, in attesa del possibile spiraglio vincente, ha continuato a riversarsi disordinatamente nella metà campo rivale, facendo enorme fatica a compattarsi in fretta sulle azioni di rimessa giallorosse.

Velleitarismo tattico, che si è trasformato in amara consapevolezza quando l’estroso e freschissimo Strefezza, subentrato da pochi minuti, ha realizzato troppo facilmente la rete del nuovo e definitivo sorpasso giallorosso.

Il finale di gara dei padroni di casa, generoso ma sterile con la ricerca di improbabili palloni gettati confusamente in avanti, ha fatto da apripista ad un altro quesito: perché questa ostinata e scriteriata ricerca del rischio, quando archiviare il settimo turno mantenendo a distanza il Lecce – e compiendo un altro fondamentale passo in classifica – sarebbe stato molto più saggio e lungimirante?