Occasionalmente determinante, fulmineo nel confezionare la giocata in grado di scardinare la partita e riscattare l’apatia un po’ molle di tanti altri segmenti di gara.
Temperamentale a tratti, non sempre centrato mentalmente, eppure mai sprovvisto della intuizione capace di deliziare la platea e mutare le sorti di un match.
Il buio e la luce: così può essere sintetizzato il torneo di Tonny Vilhena in maglia granata.
Dubbi che trovano fondamento proprio a partire dalla cifra numerica scaturita dai primi due terzi della sua stagione al servizio dell’Ippocampo.
Tre gol di ottima fattura, anche importanti ai fini dei risultati, ma la sua figura continua ad essere circondata da un alone di diffidenza nei pensieri e nei cuori dei seguaci della Salernitana.
Tre sigilli personali che fanno di lui, a pari merito con Candreva e Piatek, il secondo marcatore della squadra alle spalle del prolifico Dia.
Reti d’autore, tutt’altro che semplici da realizzare. Esteticamente apprezzabili e messe a segno con la disinvoltura che non fa difetto al calciatore tecnicamente superiore alla media.
Ciò nonostante, nei ritrovi del tifo e sui media, all’interno delle discussioni che vertono sul suo rendimento, perplessità e mugugni sembrano prevalere sugli elogi.
L’ingresso in campo contro il Bologna, caratterizzato dal suo utilizzo nelle vesti di centrocampista centrale e da una carica agonistica notevole, è apparso un incoraggiante indizio di svolta.
Una risposta data innanzitutto a sé stesso: il fermo proposito di foraggiare il suo estro con altri ingredienti necessari in una partita di calcio.
Mezzora circa per garantire un significativo contributo di umiltà e tenacia alla squadra.
Il tutto sublimato dallo strappo palla al piede che ha dato il via alla lunga e articolata azione terminata con il gol di Dia.
Ma negli occhi degli attenti osservatori è rimasto impresso anche un tackle scivolato a ridosso dei sedici metri granata, utilissimo a impedire la conclusione comoda a un calciatore del Bologna.
Vilhena deve semplicemente ritrovare l’ambizione di stupire e imporsi all’attenzione del grande calcio. Per riuscirci, deve ricominciare a coltivare l’entusiasmo dei suoi inizi professionali.
Riaccendendo dentro sé il fuoco sacro che gli ha permesso di bruciare le tappe della sua carriera. Come testimoniano gli alti livelli raggiunti con la maglia del Feyenoord e le presenze nella Nazionale olandese.
L’anagrafe è ancora generosa con lui, di talento cristallino e versatilità tecnico-tattica è colmo il suo bagaglio calcistico.
Se a tutto ciò riuscirà ad affiancare presenza mentale costante, dosi massicce di grinta e lucida disponibilità al servizio del collettivo, il ventottenne centrocampista di Maassluis non tarderà a riproporsi su livelli prestazionali notevoli.