Il calcio sudamericano è, da sempre, fucina di sportivi particolarmente “estrosi”, sia a livello tecnico che estetico. D’altronde, se la maggior parte degli Dei che popolano l’Olimpo del Fùtbol provengono da quelle zone, un motivo ci sarà. Con la rubrica di oggi facciamo un viaggio oltreoceano per scoprire le differenze culturali tra il calcio nostrano e quello sudamericano portatore, senza dubbi, di autenticità ed estemporaneità, su tutti i fronti. Lo facciamo, ovviamente, parlando di arbitri.
Anderson Daronco, docente di educazione fisica classe 1981, è un arbitro di calcio appartenente alla federazione brasiliana. Dirige le gare del Campeonato Brasileirão e, dal 2017, ricopre la carica da internazionale. Ieri notte ha diretto Cruzeiro – Palmeiras, gara valevole per l’ultima giornata di campionato, che ha consegnato ai “Verdão” il titolo di Campeões do Brasil.
La prima cosa che salta agli occhi, sembra finanche banale a dirlo, è la fisicità dell’arbitro brasiliano, a dir poco imponente e inusuale, rispetto agli standard europei. Basterebbe, infatti, farsi un giro sui social network brasiliani per capire l’opinione dei tifosi carioca: c’è chi lo definisce il “Dwayne Johnson” – alias “The Rock”, famoso wrestler e attore statunitense – degli arbitri brasiliani; oppure chi lo associa ad un cartone animato del posto, “o Robozão”, alludendo alle presunte sembianze robotiche del Daronco. Pareri, dunque, tanto divertenti quanto positivi al cospetto di una fisicità che nel calcio europeo sarebbe stata accolta con indubbio scetticismo dai vertici arbitrali. Punti di vista, ampiamente, differenti!
C’è un detto nostrano che recita: “mogli e buoi dei paesi tuoi”. Un po’ come a testimoniare la difficoltà nell’abbracciare culture ed usanze che distano migliaia e migliaia di chilometri dalle nostre. Che in Italia, così come in Europa, la preparazione atletica di un arbitro sia diventata condizione primaria per ambire a determinati traguardi è fuori discussione.
Allo stesso tempo, però, bisognerebbe allargare la mente, abbandonando definitivamente concezioni obsolete tendenti unicamente a penalizzare la personalità e la – vera – natura di un arbitro che, al netto delle ideologie più disparate, resta pur sempre un uomo (libero!). Durante il mio percorso arbitrale ho ascoltato frasi del tipo: “hai troppi tatuaggi/orecchini”; “hai la rasatura dei capelli troppo marcata”; “alzi troppi pesi in palestra”. E così via.
Siamo davvero sicuri che questa sia la strada giusta da intraprendere per costruire, serenamente, gli arbitri del futuro? Ha davvero importanza se un ragazzo predilige un determinato stile di vita o preferisce vedersi più performante muscolarmente? La vera domanda che ha popolato per un decennio la mia testa, è sempre stata la stessa: “ai calciatori e ai tifosi, importa dei miei tatuaggi/muscoli o del mio prendere decisioni giuste in campo?”. La risposta, almeno per ciò che ho testato in prima persona, è finanche scontata.
Il mio auspicio è che gli arbitri, italiani e non, possano vivere con estrema serenità e libertà il loro percorso arbitrale, senza limitazioni sciocche e tendenti ad un “politically correct” che, in tutta onestà, nel terzo millennio risulta a dir poco stucchevole.
Che Anderson Daronco sia d’esempio!