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La coscienza salernitana

Siamo qui per una vera e propria presa di coscienza zeniana, un’analisi schietta e forse per tratti anche po’ cruda dei troppi errori macroscopici commessi

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“L’occasione è come un treno in corsa, se non la prendi al volo, se ne va e non torna più.”

Se l’immagine di un triste e rassegnato Antonio Candreva nel post-gara contro il Genoa potesse essere un quadro, probabilmente le parole del celebre scrittore inglese George Gissing farebbero da giusta cornice e la firma d’artista formerebbe il nome dell’Unione Sportiva Salernitana. 

A 4 giorni dall’ennesima e questa volta forse decisiva sconfitta contro il Grifone, il tempo non ha alleviato l’amarezza e non ha dissipato il rimpianto ma ha aumentato la consapevolezza che più di qualcosa in questa stagione non è andata per il verso giusto. Non siamo qui per un inutile e poco costruttivo processo su carta bianca alla ricerca di un colpevole da portare al patibolo mediatico per soddisfare i bisogni dello sfogatoio di massa.

Siamo qui per una vera e propria presa di coscienza zeniana, un’analisi schietta e forse per tratti anche po’ cruda dei troppi errori macroscopici commessi che ci stanno mostrando dettagli sempre più vividi di una realtà, o meglio, di un quadro futuro che dovremo essere pronti ad accettare. La Salernitana vista contro il Genoa ha dato l’impressione di una squadra che il treno per la salvezza lo avesse già perso da tempo ma che solo al fischio finale di Orsato abbia preso consapevolezza di ciò. Il presidente Iervolino la scorsa estate è incappato nella trappola della superficialità e a volte della presunzione, probabilmente pagando quella che può essere una giustificabile inesperienza nel campo della gestione calcistica, diversa da altri settori di sua competenza: la salvezza in carrozza della scorsa stagione ha messo le famose fette di prosciutto sugli occhi di molti e ha tappato anche le orecchie di quei pochi che avrebbero avuto bisogno di consigli e figure più esperte su determinate e delicate scelte. 

I rapporti già probabilmente incrinati con Paulo Sousa hanno portato alla gestione di un mercato non coadiuvato con il proprio tecnico e quindi ad un inizio di stagione in netta salita con poca unità d’intenti e una rosa ritenuta, dallo stesso tecnico portoghese, poco adatta ad affrontare il campionato di Serie A a differenza della precedente. La spinosa “situazione Dia” non ha aiutato e la sua mancata cessione (alle cifre che giustamente la società richiedeva) non solo ha tarpato le ali alle liquidità della campagna acquisti ma ha contribuito alla distruzione di un ambiente di squadra nel quale si è palesato più di qualche animo scontento. 

Da qui il mercato troppo azzardato, con il quale non è stata rinforzata una difesa che già si contraddistingueva per essere la terza peggiore per gol presi la stagione scorsa e soprattutto un attacco, che oltre al solo e maldisposto Dia, non ha presentato valide alternative per competere in categoria. La reintegrazione in rosa di Nwankwo Simy è il simbolo del fallimento della gestione granata e di una campagna acquisti che ad oggi, 25 gennaio, possiamo con certezza definire inadeguata. 

Se l’esonero di Sousa è stato per certi versi inevitabile, l’arrivo di Pippo Inzaghi sulla panchina è stato lo specchio per le allodole di molti ma che oltre ad atteggiamenti e determinazione ritrovati in molti giocatori, parsi persi e spaesati per lunghi tratti della prima parte di stagione, ha trasmesso e conferito comunque troppo poco sul campo, dove improvvisazione e umore troppo altalenante ne fanno da padroni.

Il ritorno in patria di Walter Sabatini è stato il grido d’aiuto, l’ultimo e giusto tentativo, dimostrazione comunque di una volontà da parte del Presidente di provare a voltare pagina, ma la sensazione è che i miracoli accadono una volta sola. La Salernitana si sapeva avrebbe affrontato un mese di gennaio di fuoco con la doppia sfida con la Juve e la trasferta di Napoli, dalle quali con un po’ di attenzione e fortuna in più si sarebbe potuto uscire con qualche punto in più; ecco, la fortuna. La dea bendata è un fattore nello sport a volte un po’ trascurato ma che a volte deve essere messo a referto in una stagione in cui la stessa sembra aver anch’ella voltato le spalle alla Bersagliera, non premiando mai la causa granata attraverso la grande ruota dell’episodio a favore. 

La fortuna, però, va anche aiutata e se il 21 gennaio in una partita spartiacque come quella contro il Genoa, in casa davanti al tuo pubblico, ti presenti dopo 21 giorni di mercato con Simy unica punta e il solo Ikwuemesi pronto a subentrare, allora il futuro non può essere roseo e se anche il plurinominato “indice di liquidità” al momento inchioda ulteriormente la sessione di riparazione invernale, non esiste Sabatini o allenatore che tenga, il destino è purtroppo segnato. 

Anche la statistica ti condanna: nell’era dei 3 punti la squadra che risiedeva in ultima posizione in classifica alla 21 giornata è poi SEMPRE retrocessa a fine stagione. Il tempo dei “se” è finito, gli errori sono umani e quando sono così macroscopici spesso è anche inevitabile non pagarli ma avendo sempre una prospettiva futura con l’intento di prender spunto e insegnamento dagli stessi e rinascere dalle proprie ceneri. Non si tratta di essere negativi o rassegnati, interrogarsi e analizzarsi sulle proprie responsabilità è sempre il passo giusto per costruire qualcosa e questo può coesistere con la fiamma della speranza che è giusto rimanga sempre accesa nel cuore di chi lotta come “l’ultima sigaretta” di Zeno.