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La ritrovata solidità difensiva viaggi di pari passo con la necessità di vincere le partite

Grazie ai recenti innesti in organico, la fase difensiva ha iniziato a lanciare incoraggianti segnali in vista dell'immediato futuro. La classifica, però, resta decisamente severa. Serviranno punti e vittorie per salvaguardare la serie A. L'atteggiamento remissivo di Torino non basterà. Urgono coraggio e soluzioni offensive imprevedibili.

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La Salernitana guadagna a Torino un punto che accarezza il morale ma non risolleva una classifica che resta tremendamente critica.

Al termine di una gara che non ha fatto registrare grosse novità rispetto al recente passato. Se non una maggiore attenzione difensiva e un occhio finalmente benevolo da parte della dea bendata.

La capacità di difendere meglio, però, non rientra nei balocchi elargiti dalla buona sorte. Più giusto parlare di prestazioni individuali sopra la media e intrise di superiore concentrazione e personalità.

L’intelligenza calcistica di Jerome Boateng, nella gestione della sua precaria condizione atletica e delle letture tattiche, è materia difficilmente riscontrabile a queste latitudini. Con il trascorrere delle giornate e delle sedute settimanali di allenamento, il suo rendimento è destinato a stabilizzarsi. Con tutto ciò che ne consegue a livello di certezze e tranquillità che la sua presenza riuscirà a trasferire al resto della squadra.

Ma, a dire il vero, la grossa e lieta sorpresa partorita dalla trasferta piemontese è stata soprattutto la possente prestazione di Niccolò Pierozzi. Vedendo il mismatch fisico esistente tra lui e Zapata, in molti non avrebbero scommesso un centesimo sulla riuscita dell’impresa. Ed invece, ad eccezione di qualche difficoltà iniziale, fisiologica nel tentativo di trovare le giuste misure, il virgulto della cantera viola è diventato progressivamente dominante.

Anticipi intrisi di aggressività, battaglie muscolo-scheletriche sostenute senza soluzione di continuità, ardore inesauribile. Tutto questo è stato il ventiduenne ex Reggina nel corso degli oltre novanti minuti spesi a fronteggiare le iniziative di uno degli attaccanti più in forma del campionato italiano.

La riluttanza dello statuario Duvan a scambiare il segno di pace con il suo giovane francobollatore rappresenta l’immagine plastica della frustrazione assaporata dall’attaccante colombiano.

Però è indubbio che nella città della Mole, dopo tante partite che hanno riservato amaro fiele nella coda, anche la mitologica ‘Fortuna’ ha deciso di non rovinare i piani di Candreva e compagni.

Il retropassaggio azzardato di Bradaric, sfuggito al controllo di Ochoa, sarebbe finito in porta se non fosse stato leggermente distante dal palo. Il terzino croato si è riscattato, poco dopo, con un tackle che definire provvidenziale è riduttivo. Nel convulso finale, l’incornata di Pellegri ha rischiato di trasformarsi nell’ennesimo episodio capace di danneggiare ulteriormente il fegato della tifoseria granata.

Tutto è bene quel che finisce bene, la graduatoria respira, ma le ultime quindici sfide del torneo dovranno essere accompagnate da contenuti offensivi diversi.

Perché anche la prova difensiva che rasenta la perfezione, come quella esibita a Torino, concede sempre qualcosa agli avversari e può essere punita in qualsiasi momento dall’episodio sfavorevole.

Ed è accaduto anche domenica, soprattutto nella parte iniziale dei primi quarantacinque minuti. Il gioco senza palla del Torino, unito ad una discreta circolazione della sfera, ha trovato più di un varco negli ultimi venticinque metri campani.

Atteggiamento difensivo degli ospiti troppo scolastico e facilmente eludibile. Con Tameze e Ricci a creare superiorità numerica sul centrodestra e a mettere spesso in mezzo, suo malgrado, il volitivo e combattivo Basic. Giulio Maggiore di presidio davanti alla difesa, Candreva e Kastanos scarsamente aggressivi su Rodriguez e Linetty, hanno permesso al Toro di arrivare spesso a ridosso e all’interno dei sedici metri di Ochoa.

Juric, pertanto, ha ordinato ai suoi uomini di dare pochi punti di riferimento. Con Vlasic ad attaccare lo spazio alle spalle di Bradaric e a svariare sull’intero fronte offensivo. Ma anche un Sanabria impegnato ad agire nella distanza tra Basic e Maggiore, e un Lazaro elastico nei tagli da sinistra per cercare la possibilità di calciare in porta dalla media distanza.

Ed infine Zapata lesto ad attaccare la profondità nello spazio tra Zanoli e Pierozzi. Jerome Boateng, l’ex viola e Pasalidis sono stati sempre tempestivi e ben posizionati (tiri di Lazaro e Zapata stoppati dal campione tedesco, abile il greco a scivolare sulla sinistra e a togliere agibilità al trequartista croato).

In questa fase complessa del match, le estemporanee e caotiche controfughe di un generoso Tchaouna non hanno prodotto grossi spaventi ai difensori locali. Candreva e Kastanos, ingabbiati all’interno di mansioni essenzialmente difensive, hanno mostrato un linguaggio del corpo oscillante tra l’insofferenza e l’apatico rispetto di un copione indigesto e lontano dalle loro corde tecnico-tattiche.

Nei secondi quarantacinque minuti, dopo un breve avvio speso provando a portare una pressione più alta ai facitori di gioco di Juric, la Salernitana si è definitivamente asserragliata nel suo fortino.

Complici le uscite dal terreno di gioco di Boateng per la sopraggiunta spia rossa del serbatoio, e di Pasalidis dopo un doloroso infortunio alla spalla. Dentro Pellegrino e Sambia. Insieme a Dia (in luogo di Tchaouna) al quale viene assegnato l’ingrato compito di far respirare la squadra e tirar fuori dal nulla la giocata vincente.

La difesa a tre continua a reggere, con Pierozzi e Bradaric braccetti e il giovane argentino al centro. Sambia e Zanoli si abbassano definitivamente sulla linea del terzetto centrale. La mediana a quattro arretra a protezione della retroguardia. Dia ripulisce qualche pallone, guadagna un paio di punizioni, in una circostanza attiva un’azione di rimessa di Candreva. Il senegalese addirittura sfiora il gol calciando un pallone fuoriuscito da un nugolo di maglie e di gambe, ma trova la respinta di Milinkovic Savic.

Il finale vede un Torino che cozza contro la muraglia eretta da Inzaghi. Per i granata di casa, al di là di un tiro di Linetty dai venti metri neutralizzato in tuffo da Ochoa, restano solo le palle inattive da sfruttare. Basic e Maggiore diventano stopper aggiunti e danno una grossa mano sui palloni spioventi dalla bandierina e da qualche punizione decentrata. Si rischia solo su un’incornata di Pellegri, con il pallone che termina fuori di un soffio. Prima del triplice fischio e del sospirone di sollievo tirato da squadra e tifoseria.

I punti da fare in quindici gare dovranno essere superiori alle venti lunghezze. Considerato che non pochi saranno i match da sostenere contro le ‘big’, appare scontato che nelle restanti gare il compitino timoroso debba essere sostituito in fretta dal temperamento vincente.

Pertanto, l‘estro di Candreva, Kastanos e del neo arrivato Vignato venga concretamente posto al servizio di un Dia apparso nuovamente recuperato alla causa granata.

Anche perché l’esperienza di Boateng e il vigore atletico e agonistico di Pierozzi, Zanoli, Bradaric, Tchaouna, Pellegrino, Coulibaly, Basic, Maggiore e lo stesso Gomis, esercitando la doppia fase, consentirebbero agli elementi più dotati tecnicamente di avvalersi del loro contributo e di rischiare serenamente la giocata in grado di spaccare la partita.

La consapevolezza di avere le spalle sufficientemente coperte è un fattore che potrebbe agire in maniera positiva sulle iniziative dei calciatori più estrosi e imprevedibili. A patto che la squadra riponga nel dimenticatoio l’atteggiamento rinunciatario e l’assenza di idee palesati allo Stadio Olimpico di Torino.