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La Madonna bombardata

Ai piedi della chiesa un ragazzo scalzo con i capelli lunghi, suona la chitarra: è Bambolèo dei Gipsy Kings. E’ stata scritta nel 1987. Lei non era nemmeno nata.

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di Luigi Martino

Lei ha i capelli mossi, corti. Serve cocktail a Plaza Real. Non ha trucco sul viso. Indossa una canottiera nera striminzita e un pantaloncino di jeans. Sa di essere bella e sorride solo quando deve. Probabilmente perché è stanca di incontrare così tante persone durante le sue dieci ore di lavoro; molto più verosimilmente, però, oltre alla consapevolezza di affascinare, è maledettamente conscia del fatto che mostrare il bianco dei denti tra le labbra, potrebbe far perdere la testa a chiunque. Quel sorriso è più potente dell’horchata mista al rhum bianco. Non c’è bisogno di testarlo ancora.

Un tinto de verano a tavolo diciannove. Due cava e una sangria a quei tre ragazzoni statunitensi che scattano selfie mossi mentre danno le spalle al Gran Teatre del Liceu. L’Ocaña è un locale per tutti. Due drag queen t’offrono stampe di rossetto sul collo. I cinque italiani bevono birra alla spina e dicono di no. La cameriera bionda avrà avuto 22 anni, forse 24. Non è una faccia da numero primo, questo è certo. Dentro c’è musica techno. Uno dei cinque corregge l’altro e dice che «è semplicemente palleggiata». «Si, Gavi o Ferran Torres?». Tutti a ridere!

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Poi l’indice in alto e un’otra ronda chiesta urlando. Colpa della birra? Chissà. Nel frattempo arrivano le altre. E allora lei poggia la prima al centro del tavolo, poi la seconda, la terza. Quando tocca alla quarta, uno dei cinque italiani, con la scusa di alleviare quell’andirivieni vassoio-tavolo diciasette, tenta di afferrare la pinta e sfiora la sua mano. Si guardano negli occhi per due secondi d’orologio e qualche millesimo concesso da Dio. Sembravano ore. Tutto rapidamente torna come prima. Ai piedi della chiesa un ragazzo scalzo con i capelli lunghi, suona la chitarra: è Bambolèo dei Gipsy Kings. E’ stata scritta nel 1987. Lei non era nemmeno nata.

L’orologio della piazza conta 8 rintocchi grandi e tre più piccolini. Manca un quarto d’ora alle ventuno. Tutti quelli che stanno stringendo tra le mani un bicchiere di vetro e sono semplici spettatori di quella danza tra le sedie dell’Ocaña, non sanno ancora dove devono andare a rifugiarsi per cena. «Chiero portar dos tapas por favor». E’ l’italiano che pochi istanti prima è stato condannato ad incrociare i suoi occhi. Parla male la sua lingua d’origine, figuriamoci quella che non ha mai studiato. Però forse questo tentativo maccheronico serve ad altro.

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Arriva un po’ di cibo e questa volta lui non mette le mani, bensì le porge un origami. Ha una forma quasi come quella di un cuore disegnato da un bambino. Non ha utilizzato forbici ma solo il bordo del tavolo per stendere la piegatura e poi tirare via la carta in eccesso strappando lungo i segni. Quella disciplina ha lo stesso nome del ristorante di viale Antonio Bandiera dove prima di partire per Barcellona con gli amici, era stato a cena con la sua fidanzata. Si, proprio lei, che mentre il mondo gira attorno a quella ragazzina bionda così semplice e misteriosa allo stesso tempo, si trova in una fetta della bassa Campania a pensare alle notti di fine estate in auto in riva al mare. Serve a poco ma chi glielo spiega?

A Plaza Real passano anime vestite da umani, indossano panni della felicità, della sofferenza, della normalità. Brandiscono oggetti d’ogni tipo e sono dirette tutte in posti differenti.

Crash. L’onomatopea forse non rende bene l’idea. Dovrebbe rappresentare il suono di un calice di vino rosso che precipita e ferma la sua corsa (e cessa la sua vita) contro le pietre che sorreggono i tavoli e tutto ciò che sta succedendo in questo locale. Lei non si fa rossa e impassibile si china a raccogliere i cocci. I cinque italiani, spavaldi, manco si girano. Stavano facendo un video per vedere se l’unico dei cinque senza berretto, riusciva a buttare giù in un solo sorso quella Estrella Dam ghiacciata. Un filmato in 4k messo in archivio e pronto per essere mostrato al pub del ritrovo, alla prima in casa, non appena saranno rientrati in Italia.

Una cena al ristorante sulla Barceloneta, nove drink e sei ore dopo l’incidente dell’Ocaña, sdraiati sul letto provano a ripercorrere le tappe della giornata da ubriachi consapevoli. Le foto dell’acquario, il colombiano che vendeva cocaina mentre portava il taxi e quel tentativo di approccio con le finlandesi finito malissimo. È tutto nei cellulari che dovranno essere bonificati prima dell’atterraggio a Capodichino. E c’è anche il video della cameriera bionda che fa cascare tutto. La scena è ripresa alle spalle della gara con la birra tutta d’un sorso. Se ne accorgono in tre mentre gli altri due dormivano. Lo guardano almeno due volte prima d’accorgersi della molla della mutandina di lei che spunta distratta dai pantaloncini di jeans. Insieme ad un piccolo rettangolo bianco. Al centro un pallino di colore rosso.

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Nell’era dei pollici veloci, quel particolare passa mezzo inosservato.

Quei cinque non verranno mai a conoscenza della storia della ‘Madonna bombardata’ e il perché quella ragazza, nata in Spagna nel nuovo millennio, ha una bandiera del Giappone tatuata sulla schiena. Due nazioni così diverse, così distanti, legate indissolubilmente dalla statua di Maria sopravvissuta all’atomica americana e poi portata da Nagasaki a Guernica, che non è solo un quadro di Picasso ma è il nome di una città Basca, la prima ad essere rasa al suolo nella storia della guerra moderna.

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