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Un filo generazionale

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-Papà, la maglia di Bonazzoli dove sta? 

– Vedi nell’armadio, l’ho messa lì piegata insieme a tutte le altre cose che riguardano la Salernitana.

-Hai aperto il nostro album delle foto dei granata?

-Guarda, ci sono le foto delle trasferte di questo anno! Le trasferte a Milano, contro Inter e Milan, quella a Bologna, a Torino sponda granata e poi quelle finali: quanti ne eravamo in lungo e largo e quanto abbiamo cantato! Quanti ne eravamo soprattutto nel girone di andata: quando si brancolasse nell’incertezza di un futuro tutt’altro che roseo.

– Queste invece sono quelle dopo la partita contro l’Udinese?

-Avevamo gli occhi lucidi, non lo vedi? Che bella Salerno nell’ubriachezza della festa. Che bella Salerno quando l’utopia si avvera. Era il 7% di probabilità di salvarci, giusto?

– Questa foto invece, papà?

– Per risponderti, dobbiamo fare un passo indietro nel tempo: riconosci questo ragazzino? Ti somiglia, dai!

– Tu? 

-Esatto, gli altri sono: Simone, Ciro, Peppe ed Enzo.  Il 3 Giugno 1990 siamo al Vestuti o meglio appena fuori in piazza Casalbore. Guarda gli zii non son cambiati di una virgola: io e Peppe con l’ansia che ci divora, Simone sferzante e in barba a qualsiasi paura, così euforico, e infine; Ciro guascone che non smette di prenderci in giro.

Abbiamo rifatto la stessa foto a distanza di 30 anni, ormai: mai avremmo immaginato che avessimo potuto festeggiare la salvezza in serie A. Io quelle emozioni della sfida contro il Taranto ancora le sento addosso, come se il tempo, in fondo, non fosse mai passato.

Soprattutto ricordo le sfide antecedenti con qualche analogia con il presente: la sconfitta contro il Palermo è pesata come il gol di Altare contro il Cagliari, anzi molto di più. La paura che quella serie cadetta rincorsa per 25 anni non potesse mai realizzarsi, rimanendo intrappolati nell’etichetta di Vecchia Signora della serie C. Penultima partita del campionato in quel di Brindisi: ricordo ancora come stessi cercando la giusta frequenza alla radio, sperando di evitare interferenze che rendessero l’ascolto difficoltoso. Al 42mo del primo tempo arriva il gol: la cavalcata di Ferrara che crossa in mezzo, pallone basso appoggiato dietro da Zennaro per l’inserimento di Di Bartolomei che con un tiro preciso ed elegante al limite dell’area sigla il gol del vantaggio. Come in ogni fiaba gli eroi irrompono con i loro gesti. Il boato al triplice fischio lo ricordo ancora: nel quartiere un’aria di festa così non la si viveva dall’82. A piene mani si accarezzava un sogno. Vedi, i giocatori, i presidenti, gli allenatori, tutti passano eppure ci sono uomini che lasciano una traccia profondissima: rimanendo inesorabilmente legati alla storia della Salernitana. Guarda questa foto dove son presenti Bruno Carmando e Agostino Di Bartolomei: il primo, non solo il massaggiatore della Salernitana, bensì, la tangibile rappresentazione del concetto di salernitanità. Chi ha speso una vita per la causa granata. Il secondo, una leggenda capace di scendere sui campi impolverati e risollevarci da annate buie: la sua integrità e rettitudine dentro e fuori dal campo sono un esempio di vita. Ben oltre il calcio.

-Papà, secondo te, cosa ci lega così tanto alla Salernitana?

– Le questioni sono tante; eppure, possono racchiudersi in un unico pensiero: è un filo generazionale. Sembra ieri quando tuo nonno mi raccontasse che alla tua età visse la sua prima gioia calcistica nella stagione del 1965/66 grazie ad un giovanissimo Pierino Prati e un Domenico “Tom” Rosati sergente di ferro in panchina. In fondo se ci pensi il nostro palmares non è costellato da scudetti, coppe continentali o vittorie di stampo mondiali. Allora se non sono i trofei ad attrarre, mi chiederai, da dove nasce questo attaccamento popolare capace di durare di decennio in decennio. Per la precisione da più di  un secolo: ormai son 103 anni.

Vedi quel filo generazionale ritorna di nuovo come una bussola: orientandoci nel tempo ora agli albori sul campo di Piazza D’armi, per poi passare al Vestuti e infine all’Arechi. Andando oltre; schizzando ora verso il porto e ora risalendo in alto sul castello Arechi per poi scivolare sulle coste e nelle zone interne alle costiere di riferimento. È un valore identitario capace di diventare una propensione del nostro essere: tra una chiacchierata nella pausa di lavoro con i colleghi, nel ricordo di un preciso momento della propria vita temporalmente da collocare con una partita della Salernitana; con gli amici negli argomenti troverà sempre spazio una domanda sulle sorti granata. Sarà motivo di spostamento per chi abita fuori da Salerno: calcolando la distanza con gli stadi che ospiteranno i granata, più vicini alla città in cui si trovino; oppure, per fare coincidere nel periodo di festività tutti gli orari in modo da condividere il tempo con i propri affetti, riuscendo però a presenziare sui gradoni dell’Arechi. La ritroverai in ogni parola o gesto di condivisione con amici o sconosciuti fuori o dentro lo stadio seguendola per tutto lo Stivale: l’aggregazione darà senso quando tutto sembrerà essere un sacrificio vano. Seguirla al di là dei risultati: a volte divenuti marginali in molte stagioni quando i verdetti fossero già scontati; altre volte quando le sconfitte fossero cocenti. Un anno in particolare per ciò che perdemmo: lì il risultato sportivo passò sinceramente in secondo piano. Semplicemente perché il 24 Maggio rimane una cicatrice eterna nella nostra memoria. 

Le poche e indimenticabili vittorie hanno un gusto diverso ben più amplificato rispetto ai successi che vedi sistematicamente compiersi soprattutto per chi segua le big del calcio: la capacità di esorcizzare le sconfitte più indigeste, le notti più insonni, danno slancio e ampiezza alla nostra felicità nel vivere e gioire dei traguardi granata. In fondo dagli occhi, capirai sempre chi sui gradoni dell’Arechi abbia seguito nonostante tutto e chi stia lì giusto per l’occasione di una sera.

-Come i tuoi occhi lucidi ora. In fondo è solo un filo generazionale che ci lega. Giusto, papà?

– È tempo di muoverci per andare allo stadio: la festa non aspetta. Su forza, Agostino!

Gian Luca Sapere