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di Gigi Amati

Diciassette mesi e spiccioli di giorni. Un intervallo di partita lungo quasi un anno e mezzo: hai voglia a massaggi e tè caldo e chiacchiere dell’allenatore. Christian Eriksen e la sua Nazionale. Primo tempo al Parken Stadium di Copenhagen, Danimarca, Europa, il 12 giugno 2021; secondo tempo all’Education City Stadiumdi Doha, Qatar, Asia, il 22 novembre 2022: Europeo allora, Mondiale adesso. 

L’inizio di Danimarca-Tunisia sarà per Eriksen nient’altro che il secondo tempo di quel Danimarca-Finlandia – appunto diciassette mesi e una manciata di giorni fa – quando al 43’ del primo tempo gli si fermò il cuore, il respiro, il polso: gli si fermò il mondo. Fu salvato dalla tempestività dei soccorritori, soprattutto fu salvato dalla prontezza di spirito di Simon Kjaer, compagno di Nazionale e capitano che lo tirò via dalle mani della morte con un primo e provvidenziale massaggio cardiaco e poi, invitando i compagni a fare cerchio in campo intorno a lui durante i soccorsi, strappò Eriksen anche dalla curiosità dello stadio e del mondo intero.

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Il lungo tunnel

Durante la corsa in ambulanza verso l’ospedale di Copenaghen, steso su una barella e circondato da monitor e sguardi tesi, il ventinovenne talento danese strinse la mano della moglie Sabrina e le disse che probabilmente non avrebbe mai più giocato a calcio. Dopo due giorni e un defibrillatore cardioverter nel petto, i medici gli restituirono invece anche la speranza di giocare di nuovo. Non lo ha più fatto all’Inter, perché in Italia non è consentito fare sport agonistico con un impianto artificiale nel torace, però Eriksen è davvero tornato in campo nella sua amata Premier League; e dopo un anno al Brentford e poi i mesi al Manchester United, eccolo di nuovo qui: maglia della Danimarca addosso e atteso da una competizione ufficiale, stavolta addirittura il Mondiale: pur sempre il sogno di ogni calciatore in erba, sebbene questa edizione si svolga curiosamente in inverno e in un paese non esattamente di cultura calcistica elevata e con molti, troppi scheletri negli armadi, sia pure armadi di lussuoso design.

È dunque finito il lungo intervallo, sceso in campo al Parken Stadium danese per il primo tempo, in campo Eriksen ci torna per il secondo tempo salendo le scalette dell’Education City di Doha: di fatto arriva lì dallo spogliatoio, in realtà è un tunnel di paure e dubbi quello che il fantasista ha attraversato per essere dove si trova adesso: diciassette mesi e uno sputo di giorni fa. 

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Quel che accadde allora è quasi del tutto dimenticato, anzi, ora più che mai il talento e l’estro di Christian Eriksen sono le armi in più di una Danimarca famosa per aver vinto un Europeo che non avrebbe dovuto nemmeno giocare. Ai Mondiali invece le presenze della Nazionale rossa sono poche ma buone, la prima a Messico 1986 – quello vinto dall’Argentina e passato alla storia per un gol di mano, il primo fallo celebrato come un gesto geniale e non come una scorrettezza – ma già in quell’occasione si fece notare: vinse tutte le partite iniziali e uscì agli ottavi nell’unica sconfitta della rassegna. Nell’ultima edizione, Russia 2018, invece la Danimarca è uscita ancora agli ottavi, eliminata ai rigori dalla Croazia. E dunque il miglior risultato dei danesi è a Francia 1998, eliminata ai quarti dal Brasile di Ronaldo il Fenomeno.

Sistole e diastole

In questi diciassette mesi e una spicciolata di giorni, Eriksen ha giocato gare ufficiali, certo che le ha giocate, tra Bentford e Manchester United. Ha risentito l’odore del campo, ha rivisto docce e spogliatoi, ha corso e rincorso, ha segnato e sbagliato, crossato e passato: ha gioito e sofferto. In poche parole: è tornato calciatore, ha dimenticato quelle parole di resa consegnate alla moglie in ambulanza, il suo cuore ha ripreso a battere con quelli dei tifosi veri e di noi tutti sportivi. Ma il vero filo che per lui si è teso di nuovo fra il prima e il poi è appunto quello di una gara ufficiale con la propria Nazionale, quella Danimarca che adesso è chiamato a portare se possibile più in là degli ottavi di finale, magari insieme al giovane e talentuoso Damsgaard, l’altra stella a disposizione del cittì Hjulmand, superando le insidie del girone dove oltre ai nordafricani ci sono anche Francia ed Australia.

Eccolo il significato neanche tanto nascosto di Danimarca-Tunisia, tra i primi atti del Mondiale 2022: è il ritorno di Eriksen in una gara della Nazionale; è vedere il calciatore che dal campo era uscito in barella rientrare per l’ideale secondo tempo della sua carriera con la selezione del proprio paese, percorrendo con calma e soddisfazione il percorso dagli spogliatoi all’erba verde, in realtà una lunga strada dal niente al tutto; è tornare a correre e giocare con lui dopo aver con lui trattenuto il fiato per tanto tempo; è aver sconfitto quel terribile cortocircuito nei comandi elettrici del cuore; è sistole e diastole, sistole e diastole, sistole e diastole, “un ritmo fluente di vita nel cuore” perché “sì, viaggiare, evitando le buche più dure, dolcemente viaggiare”.

E quel viaggio solo interrotto, ora con Eriksen lo riprendiamo tutti: diciassette mesi e una granella di giorni dopo.

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