Home Storytelling «Scusa se non mi alzo». Lettera al Calcio che va —finalmente— altrove

«Scusa se non mi alzo». Lettera al Calcio che va —finalmente— altrove

Diffido non delle braccia, ma degli indici convulsamente agitati da chi invoca il centimetrico rispetto delle regole

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di Giovanni Perna

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«Scusa se non mi alzo». È leggènda tramandata la frase che il Nostroel Gordo, rivolge dalla sua tomba alla casuale visitatrice. Il punto, però, è che con Osvaldo Soriano non lo sai mai dove sia la parte irreale della leggènda. Nulla vieta di pensare, quindi, che Soriano non si sarebbe alzato —da tomba o sedia— per questo Qatar 2022. Spiegando magari perché. La tentazione demagogica è forte e la penna è scarsa, proverò a farlo io. Osvaldo non può venire per inderogabili impegni, non c’era nessuno disponibile, ha mandato un suo lettore. Ci si accontenti.

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26 novembre, corrente anno. Alle 5 del mattino Casamicciola viene giù. È la natura che manda l’intimazione di sfratto ad un inquilino, l’Uomo, moroso ed irrispettoso —con le troppe porcherie combinate— dell’appartamento che gli era stato affittato.

La notizia non dovrebbe essere pertinente, non dovrebbe entrare in una storia di Calcio. Invece la natura si sta ribellando anche qui, con segnali sempre più chiari, ad una bolla economica insostenibile, gonfia, e pronta ad esplodere. E se a qualcuno appare blasfemo il parallelismo (mentre scrivo le vittime isolane sono sei, tra loro anche un neonato di 21 giorni), faccia la cortesia di compitare lentamente la cifra seimilasettecentocinquanta. Tanti sono gli operai migranti morti durante la costruzione degli stadi in Qatar accertati dal giornale britannico “The Guardian. E l’articolo è vecchio di un anno.

Non si tratta soltanto del passo d’addio, a vario titolo, di un’intera generazione di calciatori — Cristiano Ronaldo, Messi, Müller, Benzema, Di Maria, Neymar, Thiago Silva, Modric, Busquets— nessuno dei quali GOAT, e mi scuso se l’anagrafe ha il suo peso nella considerazione. L’impressione è che il Calcio stia andando altrove, e che i Mondiali prossimi venturi, se non addirittura quello in corso, offriranno a considerare uno sport completamente diverso. Alcune immagini, alcuni episodi, anche semiseri, stanno lì a testimoniarlo.

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Quando abbiamo deciso di elaborare il lutto per l’assenza dell’Italia con questa rassegna di storytelling ho pensato di ambientarla in questo resort extralusso al largo di Doha. Anche nella fantasia bisogna trattarsi bene. A Osvaldo —è leggènda tramandata— è piaciuta la location. Spazio ce n’è, vi faccio vedere qualche foto di questa prima fase, certo che altre e più belle ne verranno.

Fuorigioco e giustizia sociale

La prima immagine è quella del braccio, neppure troppo muscoloso, di Lautaro Martinez.

Confesso, questa roba del fuorigioco semi automatico mi fa paura. Ché diffido non delle braccia, ma degli indici convulsamente agitati da chi invoca il centimetrico rispetto delle regole. Non di rado sono quelli che fanno casino alle riunioni condominiali, parcheggiano in doppia fila, picchiano la compagna.

L’assegnazione di un fuorigioco deve essere, prima di tutto, questione di giustizia sociale.

Il gol di Martinez è buono, come buono lo era quello di Valencia all’esordio col Qatar. Perché Martinez è un furbo velocista che ha gabbato il suo marcatore, perché Saad Abdullah M. E. Al Sheeb —il portiere del Qatar— ha fatto un’uscita da mentecatto e meritava di subire il gol.

Attendere da casa o sugli spalti l’elaborazione di un fotogramma che consenta a loro signori di agitare l’indice vi allontana dalla gente, signori del pallone. Quell’indice gonfia la bolla, che sta per esplodere.

L’osceno spettacolo

Spagna-Costa Rica era sul risultato di 6–0 ed i signori dall’indice convulsamente agitato hanno decretato minuti otto di recupero. La faccia del tifoso che deve subire l’inutile scempio sorseggiando una Budweiser Zero —ne parlerò— è sovrapponibile a questa.

Una inutile, oscena esibizione che dovrebbe farci dire: «Ah, però, il tempo effettivo è necessario». Missione fallita, altro abbiamo detto e pensato. Da tifoso della Salernitana imbarcate ne ho prese tante e non vedevo l’ora che quel cornuto fischiasse la fine, che quei bastardi per diversi motivi sparissero dalla mia vista. L’indice vi allontana dalla gente, signori del pallone. Quell’indice gonfia la bolla, che sta per esplodere.

Scusi, chi ha fatto palo?

Vedete, tribù dell’indice agitato, non è neanche questione di alcol e religione.

Ma la Resistenza pallonara ha i suoi insospettati eroi. Come gli impiegati di “Fantozzi“, costretti a vedere la corazzata Potëmkin, facevano con le radioline, loro hanno fatto con la birra. Nascosta nel binocolo dal tifoso messicano, urlata nel «Queremos cerveza» di quelli ecuadoriani, l’intimazione di sfratto sta pure lì, nell’episodio apparentemente folcloristico. Sta lì a significare che state esagerando, e la gente non vi sopporta più. La gente chi? Ah, niente di speciale, parlo della gente che foraggia questa baracca. Ma voi agitate l’indice, stavolta col capo coperto dalla كوفية‎, la kefiah. L’indice vi allontana dalla gente, signori del pallone. Quell’indice gonfia la bolla, che sta per esplodere.

Tra l’altro l’indice vi appanna la vista ed offusca il panorama.

Il malinteso senso di appartenenza

Ché mentre scrivevo questa lettera accadeva questo:

Bene fareste ad occuparvi di questo, invece di recupero e fuorigioco. Delle sacche di violenza, dolore, e morte potenziale nei cortili di casa vostra.

Confini ed appartenenza non esistono più. Può essere un bene od un male, dipende da come lo si gestisce.

Ché se è bello vedere un rifugiato che fa gol,

O il figlio del presidente della Liberia che segna a stelle e strisce, 

È di quell’auto incendiata che dovreste interessarvi.

E ne approfitto per rivendicare il mio senso di appartenenza. E di tutti i tifosi della Salernitana che hanno celebrato in maniera commovente il primo gol “granata” segnato in un Mondiale.

Peccato che Boulaye Dia sia stato premiato con un portaombrelli.

Spero tanto si provveda a trofeo più consono al rientro. 

نحن أحمر نحن أبيض ، نحن ديناميت دنماركي

Vi risparmio la googlata, è “We are red, we are white, we are Danish Dynamite!” Il coro preferito dai tifosi della Danimarca.

Se una lettera ha bisogno della firma, questa è la mia:

Il presidente della FIFA Infantino dice, agitando l’indice, che non sono prezzolati.

Presidente, io il dubbio lo tengo, Osvaldo pure.

Se la redazione vorrà, vi scriverò ancora.

Ci vediamo ai turni successivi.

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Nato nel 1964, professione ortopedico. Curioso ma pigro. Ama svisceratamente Salerno e la Salernitana. Come sempre accade quando un amore è passionale, è sempre piuttosto critico nei confronti di entrambe.

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