40 anni fa successe una cosa strana.
La televisione cambiò pelle. Grazie ad una visione, un’intuizione e se volete una botta di culo.
Erano altri tempi. Provateci voi ad andare a NYC, bussare ad un citofono e ti risponde un dirigente della CBS.
Provateci a citofonare sempre a NYC e vi apre un avvocato ebreo che divide il suo tempo tra lo studio e la rosticceria di famiglia.
Provateci voi a tornare a Milano e vendere i diritti ad una televisione che si chiama come il codice per entrare nel cellulare.
Si, sopra ho usato una parola bella e magica: Visione.
Perché vivevamo all’epoca in un paese che in un certo senso era autarchico. Il basket americano era nell’immaginario collettivo gli Harlem Globetrotters.
Che non era basket.
Bene, quei due andando a NYC per comprarsi i diritti di una cosa che conoscevano a stento videro quello che non videro i canali di stato.
Capirono che se volevano allargare i confini rubare spazio a quella corazzata dovevano rischiare.
Rischiarono perché convinsero per 3 milioni e mezzo l’allenatore di una delle squadre più importanti d’Italia.
Che cambiò il modo di vedere lo sport. Facendo una cosa sua, una cosa che in America succedeva da anni.
Trasportò le mitiche radiocronache del baseball all’interno di una partita di basket.
Con il corollario di Mamma butta la pasta, ganci cielo e un accento che i cronisti Rai non avevano.
Molti pensano a torto che 40 anni fa ci fosse in mezzo Berlusconi. No non andò così. Quella partita la trasmise una televisione del gruppo Rcs.
E uno di quei due che citofonarono in CBS incontrò un imprenditore emergente del settore televisivo e disse di no.
No perché non poteva dare i diritti Tv a Canale 5, li aveva promesso a quegli altri.
Beh io me la immagino la faccia di David Stern che non era ancora il signore e padrone della Nba quando si trovò davanti questi due italiani.
Perché parliamoci chiaro: la Nba cominciava ad ingranare ma non aveva seguito. Gli sponsor non volevano entrare nel business la Tv trasmetteva le partite in differita, gli All star Game si giocavano davanti a pochi intimi e l’ambiente non era dei più sereni.
Prima che entrassero nell’Arena due (io direi tre) fuoriclasse la lega era vista veramente male.
“Perché dovrei investire i miei dollari per un circo pieni di negri e cocaina?” (frase attribuita all’allora Boss della Budweiser). In quell’epoca la lega cominciava ad ingranare ma non era ancora quel fenomeno che è diventato adesso.
In quella partita ci furono due giocatori che erano diversi dagli altri.
Uno che si chiamava Kareem Abdul e l’altro Larry.
Diversi ma con una cosa in comune. Il carattere.
E Kareem ne aveva tanto nel bene e nel male. Passava da andare a vedere Charlie Parker, bere l’impossibile al Blue Note e giocare. In Italia si era visto l’anno prima ma non come giocatore. Era il pilota de “L’aereo più pazzo del mondo”.
Leggetevi “Sulle spalle dei giganti”.
Non parla di Basket. Parla di poesia musica Jazz del rinascimento di Harlem.
Oppure
All’epoca non aveva conosciuto la Nation of Islam, non era caduto nell’alcolismo, non era ancora amico di molti dei leader delle pantere nere.
Non marciava per Martin Luther King.
Non era bruciata ancora la sua casa con tremila dischi di jazz e circa 1000 libri.
La sua sconfitta più bruciante, perché quello che gli disse Wooden è stato il motivo per cui ancora è in mezzo a noi.
Voti? Ho pensato. Sei l’allenatore di una delle migliori squadre di basket del Paese e parli di voti? E le mie statistiche impressionanti? Come se avesse capito cosa stavo pensando, mi guardò negli occhi per tranquillizzarmi e disse: «Per la maggior parte degli studenti, il basket è qualcosa che passa. La conoscenza invece ti accompagna per sempre»
I Lakers quella sera giocavano contro il nemico più odiato.
Perché i Celtics erano il nemico. Il loro giocatore di punta era quello che odiavano di più.
Larry Joe Bird.
Uno che veniva dall’Indiana. Che non è uno stato qualsiasi. Li il basket non è solo uno sport, è una religione.
Ed essendo una religione ogni tanto i miracoli avvenivano.
Perché uno di origine irlandese incazzoso con i compagni e con gli avversari – soprattutto con gli ultimi – con un fisico non proprio fatto per il basket (per informazioni chiedere ai suoi ortopedici che lo mettevano in trazione la notte prima di alcune partite per colpa del disallineamento della sua colonna vertebrale).
Ma era un duro. Uno che viveva basket respirava il sudore degli spettatori e dei compagni (perché il vecchio Boston Garden era famoso per non essere un’arena ma una sorta di sauna con dei pezzi di legno intorno), uno che non conosceva niente delle città dove aveva giocato per il semplice motivo che viveva in camera negli alberghi e nei palazzetti dove giocava.
Non conosceva il Boss, non sapeva cos’era un fast food.
Sapeva fare solo una cosa. Guardare la retina e tirare.
Poi tornare indietro e difendere cercando di rubare palla. C’è una frase di un altro dei suoi nemici storici:
Quando lo guardi fisso negli occhi ci vedi un killer
Beh mica male come partita, pensava sull’aereo il ragazzo di Bottega che partì da Milano per New York con due valigie per prendere gli Ampex della partita. Per poi tornare in aeroporto e riprendere il primo aereo per Milano ed andare a viale Giotto per convertire da Ntsc al sistema Pal quella partita in 12 giorni (adesso lo stesso video ci metterebbe si e no 4 sec). Quel giorno alcuni di noi trovarono dichiusa una nuova frontiera.
Grazie alla visione di due pazzi. Quel giorno decidemmo da quale parte stare. Alcuni di noi decisero di vedere oltre quella frontiera e si sentì bene.
Quasi libero perché era possibile vedere e sentire cose diverse.
Quella sensazione (a Salerno ci arriveremo dopo perché all’epoca eravamo ancora a Poltronieri) uno se la dovrebbe ricordare ogni volta che vede un canale 24 h al giorno in Italiano.
Sì, una meravigliosa visione.
Peccato che finì nelle mani sbagliate.
Ah piccola nota a margine: In Italia si vide la partita 14 giorni dopo. Il presidente era Jimmy Carter. Quando la trasmisero aveva giurato un ex attore di bassa lega.