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il ragazzo che voleva essere Di Tacchio

Ogni generazione di ragazzo salernitano voleva essere qualcuno. Chi Vitulano, chi Di Vaio, chi Giacomo Tedesco, chi Agostino.

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Ci siamo passati più meno tutti.
In un parco, ai giardini o in una piazzetta.
Ogni generazione di ragazzo salernitano voleva essere qualcuno.
Chi Vitulano, chi Di Vaio, chi Giacomo Tedesco, chi Agostino.

Grazie al mio amico Ciro, mi sono imbattuto in questa immagine. E l’ho visto e sono entrato nella sua testa.
Almeno l’ho immaginato.
Si pensava di essere Di Tacchio. Il capitano, quello che domenica dirà ai suoi compagni la solita frase:
«Siamo qui per questo tipo di partite.»

Io lo vedo questo ragazzino che sogna di stare nello spogliatoio del Dall’Ara e parlare ai suoi compagni. E guardare uno slavo con il cappello da Peaky Blinder che li guarda storti.
Io vi auguro solo di fare una cosa in giro per l’Italia.
Praticare la bellezza. Che non per forza deve essere fatta di attacchi forsennati e 40 tiri in porta.

La bellezza può essere aspettare che l’altro sbagli, aspettare e stringere i denti e se stessi per difendersi.
Di Tacchio lo sa.
Forse, anzi quasi sicuramente, ha fatto lo stesso nei vicoli di Trani.
Io ho imparato che vivere, tremare, emozionarsi tiene lontani i cattivi pensieri, la fetenzia.
Perché come disse uno che ha studiato: «La bellezza salverà il mondo».
E solo con la bellezza potremo salvarci.