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Corea del Sud – Ghana, il solco della storia

Si affrontano due paesi non dalla grande tradizione calcistica, due nazionali che assemblano la miseria di 14 partecipazioni totali alle fasi finali della Coppa del Mondo.

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di Francesco Romano

Solo chi ha vissuto e subito dominazioni può vantare nel suo Dna una dote che la moderna psicologia chiama “resilienza”, ovvero la capacità di subire un urto senza rompersi, che in attitudini umane si traduce in capacità di affrontare e superare un evento traumatico.

La Corea del Sud è senz’altro un simbolo di resilienza. Quando nel luglio del 1950 il generale McArthur della forza multinazionale, mandato dagli Stati Uniti (dall’ONU per l’esattezza) per “sbirciare” sulle azioni sovietiche in corso, sbarcò nel paese, si trovò davanti un esercito di sfollati in fuga e un paese dilaniato dal conflitto.

Il paese ha vissuto stagioni di dolore e contrapposizioni, da Nord a Sud, dominazioni di ogni tipo e divisioni interne che ne hanno segnato storia e percorso, con annessa minaccia atomica che purtroppo sopravvive. Chi va a dormire con una bomba atomica sotto il naso non può certo temere il conflitto e la contesa, perché in essi è cresciuto, pasciuto e si è plasmato come uomo. Ecco che la disciplina agonistica e lo Sport diventano il volano per sperimentare tanta resilienza in ambiti più confortevoli e certamente più piacevoli.

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Il Ghana, di contro, è stata una colonia britannica e, come tutti i paesi africani, ha conosciuto dominazioni e martiri, schiavitù e miseria ed è giunto all’indipendenza dall’Inghilterra solo di recente, nel 1957, mentre alle nostre latitudini sul palco di Sanremo Gloria Christian e Poker di voci sbancavano con una Casetta in Canadà, per intenderci.

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Nello stesso anno proprio Oltremanica a Liverpool, in un sabato qualunque dal cielo stranamente limpido, nella Chiesa di St Peter, in occasione della festa annuale della parrocchia, si teneva un’esibizione dei Quarrymen, un gruppo skiffle il cui leader faceva di nome John e di cognome Lennon. In quella chiesa Ivan Vaughan, compagno di John ai tempi delle elementari, gli presentò il quindicenne Paul McCartney, che si presentò suonando “Long Tall Sally” di Little Richard e Twenty Flight Rock di Eddie Cochran.

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La storia della musica mondiale stava inaugurando la sua rivoluzione a Liverpool e contemporaneamente proprio la colonia britannica della Costa d’Oro (vecchio nome del Ghana) veniva riconosciuta formalmente libera e indipendente con una firma del Ghana Independence Act. Era il 6 marzo del 1957 e il paese da nazione indipendente veniva ammesso in seno al Commonwealth, con il nome di Dominion del Ghana. Il capo del suo governo, Kvame Nkrumah ebbe a dire: “Il Ghana è libero per sempre. Tutto il mondo ci sta a guardare”.

Due nazionali, un pallone di cartone

In mezzo alle stelle sudamericane ed europee, a palloni d’oro dai conti in banca ipertrofici, Corea del Sud – Ghana non è certo effigie di nobiltà del calcio intercontinentale, ma un pallone di cartone rabberciato e assemblato con del nastro adesivo in polipropilene, altro che oro… Il match che vede di fronte gli asiatici contro gli africani è uno scontro tra peones che si affrontano per regalarsi uno spicchio di gloria e dignità calcistica su scala globale.

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Spesso, però, gesta memorabili e duelli epici emergono proprio dall’ombra della periferia del calcio, laddove giammai si coltiva aspettativa e frenetica attesa: nella melma e nel fango possono nascer fiori.

Corea – Ghana è un appuntamento che offre spunti interessanti, tecnicamente parlando, contenuti sostanziosi, calcistici ma anche di contorno. Perché in campo, dall’una e dall’altra parte si esibiranno atleti di valore e curricula acclarati e vidimati da presenza pluriennale nel gotha delle leghe europee.

Si affrontano due paesi non dalla grande tradizione calcistica, due nazionali che assemblano la miseria di 14 partecipazioni totali alle fasi finali della Coppa del Mondo, undici la Corea del Sud, con il quarto posto del 2002 tetto massimo della sua storia, tre per il Ghana, approdato ai quarti nel 2010.

La pandemia del pallone

Il calcio ormai si è globalizzato seguendo i trend di società ed economia; quindi le conoscenze calcistiche e le esperienze dei protagonisti in campo attingono da un patrimonio condiviso ormai acquisito, i 22 in campo sono calciatori “europei” a tutti gli effetti, perché militano quasi tutti in campionati del Vecchio Continente. È la pandemia del pallone, la conoscenza tattica e i rudimenti tecnici viralizzano gli angoli più lontani del pianeta, dove scuole e stili ormai si fondono in un’unica conoscenza che abbraccia tutti. In Corea conoscono la Serie A e la Premier League, perché nazionali coreani militano proprio in quei campionati e non solo in quelli. Lo stesso dicasi per i ghanesi, ovviamente, tutti trapiantati in Germania, Belgio e Francia, per lo più. Sarà partita vera, con contenuti veri.

Due culture a confronto

Un antico proverbio sudcoreano recita “sijagi bianida” ovvero “l’inizio è alla metà” cioè chi comincia è a metà dell’opera: il solo fatto di aver iniziato è il primo passo che porterà alla meta e la Corea del Sud ha iniziato il suo tortuoso percorso nel Mundial qatariota con un dignitoso 0–0 contro l’Uruguay.

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Un altro antico proverbio ghanese, invece, dice: “Anche il leone, re della foresta, si protegge dalle mosche”, quasi a dire che anche i più forti devono guardarsi da insidie minori, una specie di avvertimento per le grandi del calcio mondiale al cospetto delle nazionali più povere.

Un Mondiale sarebbe occasione di confronto culturale tra popoli, per quanto sugli spalti del Qatar i volti siano quasi pressoché identici e dai tratti autoctoni. La Corea del Sud, con la sua cultura antica è disciplina militare, predisposizione al lavoro e al sacrificio, valori che ne hanno fatto un modello, educativo e comportamentale, nelle aziende ed anche nello sport: pilastri di un’etica del lavoro orientata al successo e improntata sulla vittoria. L’educazione alle discipline sportive segue il tracciato della società coreana: zero alibi, zero scuse, l’ostacolo come opportunità di affermazione e realizzazione. L’umiltà e l’abnegazione da coltivare nella prospettiva del miglioramento, con l’obbiettivo della performance di alto livello.

Il Ghana è caleidoscopio di bellezze naturali, di danze tribali e canti millenari che tramandano messaggi universali. La danza Bahamaya, per esempio, narra di un gruppo di uomini che un giorno si rivolsero allo spirito della pioggia per domandargli come mai non piovesse da molto tempo. Lo spirito rispose che la causa era da rinvenire nel loro comportamento verso le donne del clan, egli disse infatti agli uomini: «La pioggia ricomincerà a scendere solo quando voi avrete un atteggiamento più rispettoso nei confronti delle vostre donne!». Rendiamoci conto. Verrebbe da raccontarlo agli organizzatori del Qatar…